L’alunno promosso dai super giudici

Nella vicenda dell’alunno promosso dal Tar ci sono molte cose abbastanza strane. La prima: nella scuola media italiana, inclusiva o lassista, a secondo dei punti di vista, trovare un alunno bocciato non è facile, ma nel Friuli-Venezia Giulia la ricerca ha dato buon esito. Secondo: la velocità della decisione del Tar di Trieste sul ricorso presentato dal genitore dell’alunno interessato alla vicenda è ugualmente sensazionale; abituati a sentenze che arrivano dopo anni, lustri o decenni, leggere un verdetto in tempi celeri, riabilita la fiducia dei cittadini nei confronti delle  magistrature. Terzo: la motivazione della sentenza, che assegna ad un genitore ignaro dei risultati negativi del proprio figlio, il potere salvifico sul risultato finale dell’alunno, rinverdisce il ruolo della famiglia nelle vicende scolastiche  anche in sede valutativa, da sempre riservata, in via esclusiva, alla funzione docente. Da domani, per giurisprudenza più o meno da consolidare, ogni padre o madre, potrà andare dal capo della scuola, eccepire di non essere stato, in precedenza, a  conoscenza del  disastroso “stato” diagnosticato dai docenti con la bocciatura del pargolo e chiedere la promozione d’ufficio. Un’operazione semplice, efficace e garantista perché la buona fede si dà per scontata a ciascun membro della società democratica. Quarto: il verdetto emesso eviterà al Ministro in carica (ed eventualmente a quelli che gli succederanno), di spremere le meningi su una questione che, secondo taluni, appare strategica per il futuro dell’istruzione nazionale: “Abolire o no le bocciature per legge”.

Resta infine da capire la condotta dell’amministrazione scolastica. Nella fattispecie si è o no costituita in giudizio? Se gli uffici scolastici hanno prodotto le contro deduzioni al ricorso presentato dal genitore dell’alunno costretto dai docenti a ripetere l’anno nella classe frequentata lo scorso anno, avranno sicuramente evidenziato due circostanze che, sul piano giuridico, hanno costituito da sempre il fondamento dell’attività giurisdizionale. La prima: la sentenza del Tar può annullare l’atto dell’amministrazione, ma non sostituirsi ad essa; se il giudizio negativo sul profitto dell’alunno espresso dal consiglio di classe è viziato, il Tar lo può censurare con l’annullamento; non può sostituirsi al giudizio di otto, nove docenti del consiglio di classe deputati, in via esclusiva, a pronunciarsi sull’ammissione o meno di un ragazzo alla classe successiva. Sarà poi il consiglio di classe eventualmente ad emendare i vizi riscontrati dal Tribunale. Grillo dice che “uno vale uno”; al Tar di Trieste ogni giudice sembra valga tre professori! Il secondo principio che la legislazione scolastica ha da sempre enunciato e la giurisprudenza ha sempre accolto, riguarda il potere ed il diritto del docente (singolo o in collegio) di valutare l’alunno. La libertà d’insegnamento è un diritto garantito dalla Costituzione. Tale libertà comprende in modo intrinseco il diritto alla valutazione. Se tali circostanze sono state rappresentate  dall’amministrazione al Tribunale e da questo ignorate, vuol dire che la sentenza cozza contro i diritti dei docenti. Nessun cavillo giuridico, nessuna creativa interpretazione della legge, nessuna autonomia dell’ordine giudiziario consentono di disconoscere la libertà d’insegnamento e i diritti di chi con responsabilità e correttezza sta in cattedra.

A meno che l’invasione di campo sia diventata uno sport nazionale e non un’espressione per descrivere un increscioso incidente accaduto in uno stadio di calcio.

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