La scuola ai tempi del Coronavirus e la grande sfida della lotta alla dispersione scolastica. Riflessione di un’insegnante

Passare dalla didattica per competenze a competenza in didattica è stato un attimo; perché, ammettiamolo, riorganizzare percorsi di apprendimento con mezzi e modalità diverse non è stato e non è facile, soprattutto per coloro che, completamente a digiuno di didattica digitale, si sono persi. Al centro del mirino, però, non ci sono le competenze e la volontà di adempiere alla funzione docente, aspetti che si rimandano alla deontologia professionale di ciascuno, ma c’è una sfida, che travolgeva la scuola in presenza, e che con la scuola a distanza risulta ancora più complessa: la lotta alla dispersione scolastica. 

Quando si parla di tecnologia, si parla di mezzi e quando si parla di mezzi  arrivano a valanga le considerazioni che una scuola tecnologica non è a portata di tutti; ma il punto non è questo. Anche il docente più abile, quello capace di strutturare un ambiente di apprendimento a “portata di mano” di ciascuno – non si dica che non è così: uno smartphone lo hanno tutti – si è reso conto che, se già la scuola prima del Coronavirus aveva bisogno di docenti capaci di scendere e scavalcare la cattedra per raggiungere i propri alunni, oggi, al tempo del Coronavirus, la scuola ha bisogno di docenti ancora più coraggiosi, capaci di mostrare le proprie case nelle video lezioni, l’essere impacciati davanti ad una videocamera, il proprio numero di telefono sul dispositivo dei genitori dei propri ragazzi. 

In queste due settimane molti bambini, alunni e studenti sono scomparsi e non è questione di mezzi, molti di loro hanno l’ultimo iphone, la play, la stampante, la fibra ottica, ma è la motivazione, l’autostima, l’autonomia a mancare.

La scuola al tempo del Coronavirus dovrebbe sposare le teorie della conoscenza di Popper e quelle del docente fallibilista di Perkinson al fine di togliersi la giacca, una volta per tutte, senza aver paura di essere giudicata nel cercare e trovare soluzioni. Recentemente si è fatto tanto per portare gli studenti fuori l’aula, fuori la scuola, nella comunità e oggi, invece, li ritroviamo chiusi in casa, nelle camere, in uno schermo. Se è lì che sono, allora, la scuola è lì che deve andare senza sé e senza ma, perché è proprio in quel contesto che ci sono gli alunni più a rischio, quelli più fragili quelli che della scuola, hanno più bisogno.