La rincorsa del cliente

Ci si sta abituando a vedere le scuole competere fra loro per attrarre gli allievi (o i clienti, come alcuni si esprimono adattando all’educazione un orrido lessico aziendale). La competizione dovrebbe spingere la scuole a migliorare l’offerta di educazione, per il fatto che il pubblico premierebbe quelle capaci di conseguire migliori risultati penalizzando quante non si curano di introdurre nella loro attività i cambiamenti opportuni.
La sicurezza con cui si afferma che dalla competizione deriva un simile beneficio farebbe pensare che si disponga di riferimenti precisi, che dati attendibili dimostrino che nei paesi in cui le scuole sono in competizione fra loro si conseguono risultati più positivi. Invece, ci si trova di fronte ad una di quelle affermazioni di senso comune alla cui base c’è, bene che vada, un’analogia impropria. In altre parole, se due prodotti sono in competizione fra loro, il mercato farà giustizia. A prescindere dal fatto che sono abbastanza scettico circa una simile presunta moralità del mercato, i dati disponibili sul funzionamento dei sistemi scolastici sono ben lontani dal confermare che un sistema tragga beneficio dalla competizione fra le scuole.
Se in un sistema scolastico che si rivolge a tutta la popolazione la competizione fosse una condizione per la crescita qualitativa, dovremmo trovare al vertice delle graduatorie internazionali i paesi che più hanno stimolato la concorrenza fra le scuole. È noto che il paese che nelle ultime indagini Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment) ha ottenuto i risultati più positivi è la Finlandia. Quel che è interessante è riflettere su come tali risultati si distribuiscano all’interno di quel paese. In particolare, è opportuno separare la varianza entro le scuole dalla varianza fra le scuole. La varianza entro le scuole riflette le differenze nei punteggi ottenuti dagli allievi di ciascuna delle scuole comprese nel campione, mentre la varianza tra le scuole si riferisce alle differenze di risultato riscontrate fra una scuola e l’altra. In qualche misura una certa dispersione dei risultati entro le scuole non può essere evitata, dal momento che ogni allievo presenta caratteristiche diverse, mentre è segno di buon funzionamento del sistema scolastico il fatto che la varianza fra le scuole abbia valori molto modesti. Le differenze fra gli allievi (varianza entro le scuole) si riducono quando la proposta di apprendimento persegue obiettivi uniformi attraverso soluzioni che tengano conto delle caratteristiche individuali: è una logica del tutto difforme da quella della personalizzazione, che invece consiste nell’adattare gli obiettivi sulla base del credito di attitudine che si riconosce a ciascuno. La varianza fra le scuole tende al minimo quando le loro condizioni di funzionamento sono le stesse, la qualità dell’insegnamento impartito è la medesima, le dotazioni disponibili non sono dissimili. Se la varianza tende al minimo e i risultati medi sono positivi (in Finlandia sono i migliori fra quelli rilevati tramite le ricerche comparative prima menzionate) ci si trova di fronte ad un sistema scolastico capace di contrastare positivamente i condizionamenti negativi di origine sociale.
È evidente che in un sistema scolastico come quello finlandese non c’è spazio per la competitività fra le scuole. Nessuna scuola può cercare di attrarre allievi affermando di essere in grado di impartire un’educazione migliore: a Helsinki come a Turku, in città come in campagna, nei piccoli come nei grandi centri, nelle aree periferiche come nei centri urbani l’educazione scolastica dà luogo ai medesimi risultati. Il contrario accade quando la varianza fra le scuole è elevata: il più delle volte i dislivelli nei risultati solo nominalmente sono interpretabili in riferimento alla diversa qualità dell’offerta didattica, perché ben più evidente è il collegamento tra i livelli di apprendimento conseguiti dagli allievi e le caratteristiche del contesto socioculturale in cui vivono. Spesso la scelta della scuola risponde a ragioni di prestigio sociale, che di per sé non hanno particolare relazione col compito d’istruzione. Si consideri l’esempio costituito dagli Stati Uniti: la fascia migliore di allievi delle scuole americane ha un rendimento comparativamente piuttosto elevato, mentre la fascia peggiore presenta livelli particolarmente bassi. La varianza è enorme e in larga parte si tratta di varianza fra le scuole: semplificando, si potrebbe affermare che il destino scolastico di un allievo può essere identificato col credito socialmente riconosciuto alla scuola che frequenta.
Non c’è alcuna ragione educativa per seguire la via della disgregazione del sistema scolastico derivante dalla competizione fra le scuole. La crescita del sistema scolastico italiano, con tutti i limiti che potevano essere individuati, è stata caratterizzata, fino a pochi anni fa, da un intento solidaristico, che si riconosceva nella differenza contenuta tra i livelli di apprendimento degli allievi migliori e quelli degli allievi più modesti. Fra il 2000 e il 2003 tale differenza è aumentata e non perchè, come effetto della competizione, si sia elevato il livello, non esaltante, della fascia con risultati migliori, ma perché la distribuzione dei punteggi si è sfrangiata nella parte inferiore della distribuzione. È come dire che della logica competitiva abbiamo preso solo le implicazioni negative. La varianza complessiva del sistema scolastico italiano si divide fra la dispersione riferibile alle caratteristiche degli allievi e quella derivante dalle differenze fra le scuole: è probabile che la varianza fra gli allievi aumenti se si affermerà la linea della relativizzazione dei traguardi dell’apprendimento, mentre a far crescere la varianza fra le scuole provvederà il triste marketing cui stiamo assistendo. Viene da chiedersi perché nell’assumere decisioni che hanno conseguenze sull’evoluzione del sistema educativo si trascurino le indicazioni della ricerca e ci si accontenti della ripresa di banalità indimostrate.