La Maturità e la marcia trionfale delle competenze

Maturità in discussione/2

Il secolo XXI si apre con la prima grande indagine comparativa dell’Ocse, il programma triennale PISA (Programme for International Students Assessment), che esordisce nel 2000 e che mette subito non le conoscenze ma le competenze, cioè la loro utilizzazione pratica – da verificare e quantificare attraverso appositi test – al centro delle proprie analisi. Quel modello di testing, utile per la valutazione di sistema, è stato poi replicato in numerosi Paesi, compreso il nostro. 

Nella stessa direzione, anche se con maggior souplesse e un’ottica meno marcatamente economicistica di quella evidenziata dall’Ocse, si è mossa l’Unione Europea, che nello European Qualifications Framework (EQF, 2008) ha definito le competenze come “capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale”.

Progressivamente la parola chiave competenza è diventata dominante, dando luogo anche in Italia (ma in modo meno dibattuto e critico che in altri Paesi, a partire da quelli anglosassoni) a una abbondante trattatistica nella quale si parla non solo di valutazione delle competenze, ma di didattica per competenze, di competenze di base, di cittadinanza, trasversali.

La domanda che ci poniamo è: l’attuale esame di maturità, che si svolge ancora sostanzialmente secondo il modello varato dalla legge 425/1997, è in grado di valutare le competenze così definite? Lo sarà nella versione parzialmente rivista che entrerà in vigore nel 2019? Ma soprattutto, al di là degli adattamenti passati e futuri, l’esame conclusivo degli studi secondari deve limitarsi a valutare le competenze (ammesso che riesca a farlo attraverso le prove previste) oppure dovrebbe, più ampiamente, valutare l’autonomia intellettuale e la qualità del patrimonio inscindibile di conoscenze, abilità e competenze, insomma la cultura, di cui i candidati sono in possesso?