La lezione del prof Nicolò Pagani e come riportare la gentilezza nelle nostre scuole

Sono le due di notte, non riesco a dormire e ripenso a questa esperienza. Sono state giornate magnifiche quelle vissute qui […] Come professore sto tornando sulla strada maestra, quella prediletta perché in fondo il mio posto è là, tra i miei ragazzi: ogni mattina in prima linea nella missione quotidiana dell’educazione e dell’onestà. Dimostrando ai giovani, che la gentilezza vince sulla violenza, la cultura vince sull’ignoranza, il sorriso sconfigge la rabbia e l’ironia batte l’odio. Insegnando loro a non impugnare i coltelli, ma i libri, e a sostituire gli spintoni con gli abbracci. Soprattutto questo è il compito prezioso e fragile della scuola. […] I miei colleghi dividendosi le supplenze hanno permesso a me di essere qui”. Con queste parole Nicolò Pagani, campione de L’eredità condotta da Flavio Insinna ha deciso di lasciare la trasmissione per tornare a fare il lavoro che tanto ama, quello dell’insegnate. E lo ha fatto utilizzando toni pacati e parole gentili in una giornata, quella del 13 novembre, proprio dedicata alla gentilezza.

Il 13 novembre è stata infatti la giornata mondiale della gentilezza. Esattamente come per i panda e gli scimpanzé, proprio come si fa per combattere il razzismo o le disuguaglianze di genere,  nel 1998 il World Kindness Movement ha sentito il bisogno di dedicare un giorno dell’anno alla cura di un atteggiamento sempre più in via d’estinzione, la gentilezza appunto.

Strano concetto quella della gentilezza. Nel nostro mondo, e soprattutto nella scuola, spesso gentilezza fa rima con debolezza. Apparire gentile rischia di farci sembrare deboli. Ma veramente è così?

Sappiamo che mostrarci gentili ci fa apparire vulnerabiili, aperti al contatto con l’altro, pronti al sostegno reciproco. Non a casa i gesti che rimandano alla dimensione della gentilezza sono gesti di contatto: stringersi la mano, guardarsi negli occhi, sorridere, abbracciarsi sono azioni che rimandano a una dimensione di prossimità, di vicinanza, di benessere.

La scuola della gentilezza, nella quotidianità, non esiste o è estremamente rara. La scuola rischia piuttosto di essere luogo di relazioni faticose e usuranti, di violenze più o meno esplicite, di soprusi, di sentimenti ostili e negativi. Questo è dovuto a un sistema che spesso promuove l’individualismo esasperato, la competizione che mette gli alunni (e anche gli istituto scolastici) uni contro gli altri e promuove una visione solitaria dell’apprendimento, quasi fosse una corsa ad ostacoli nella quali gli altri sono ostacoli o nemici da sconfiggere.

Dobbiamo cambiare paradigma.

La scuola deve essere quello che le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo sostengono chiaramente, cioè: “Alla scuola spetta il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta.”[1]

Un’identità consapevole e aperta si sviluppa promuovendo la fiducia, la cooperazione tra studenti, la responsabilità. Per fare questo serve ripensare profondamente la dimensione relazionale e organizzativa della scuola, cambiando visione: da una scuola intesa come luogo di costruzione del futuro a spazio per il protagonismo dei giovani oggi.

Per far questo suggeriamo alcuni pratici accorgimenti, per trasformare la scuola in luogo di vita democratica ed espressione di gentilezza.

  1. Sottolineiamo sui quaderni, nel diario, con riflessioni scritte o orali gli atti positivi, gentili, empatici dei bambini: non sarà il massimo, ma iniziamo a incrementare la motivazione estrinseca, a promuovere il bene e non solo il male
  2. Non pensiamo a un’ora di gentilezza nel già complesso orario settimanale, ma consideriamola come aspetto trasversale da tenere in considerazione
  3. Formiamo i docenti e soprattutto i genitori sul valore dell’intelligenza affettiva
  4. Richiediamo la presenza di figure specializzate, come lo psicologo e il pedagogista, nelle scuole, soprattutto del secondo ciclo
  5. Promuoviamo l’apprendimento cooperativo, la collaborazione il peer tutoring. Il docente diventi regista, mediatore, promotore del bene e non comunicatore di pensiero altrui.
  6. Smettiamola d’insultarci tra di noi. Se insultiamo qualcuno sui social, se aggrediamo qualcuno perché ci taglia la strada mentre guidiamo, quando nei talk in TV urliamo e deridiamo l’altro diamo un messaggio molto chiaro: gli adulti, per rapportarsi tra di loro, urlano, offendono, si insultano.
  7. Se vogliamo una società democratica e gentile, costruiamo una scuola che abbia le stesse prospettive.
  8. Sostituiamo o affianchiamo alle gare scolastiche individuali (certamen, olimpiadi della matematica, ecc) momenti di confronto e anche gare di gruppo, per incentivare la dimensione di squadra che tanto è apprezzata in tutti i contesti lavorativi e personali.
  9. Ripartiamo dalle basi: buongiorno, per favore, scusa, grazie sono parole potenti, che insegniamo ai bambini ma che faticano ad imparare perché spesso noi adulti siamo avari nel loro uso.
  10. Infine se vogliamo gentilezza iniziamo noi adulti ad essere gentili. Se vogliamo rispetto iniziamo a darlo, oltre che a pretenderlo. Se crediamo nel lavoro di squadra creiamo le condizioni per svilupparlo. Passiamo dall’Io al Noi.

Mi auguro che lo scimpanzé e il panda non si estinguano mai. Mi piacerebbe che la violenza di genere, così come il razzismo smettano di essere segni distintivi del nostro tempo. Per ottener questi risultati è necessario avere una visione progettuale e ripartire da gesti piccoli, concreti e quotidiani. Allo stesso modo non deleghiamo la promozione della gentilezza a un giorno l’anno, ma iniziamo a costruirla, da oggi, insieme.

[1] MIUR, Indicazioni Nazionali per il curricolo del primo ciclo d’istruzione, 2007