Guardare indietro o avanti?

La grande crisi della scuola/2

La retromarcia dei partiti e la pervasiva ascesa del sindacato verificatisi negli ultimi decenni sono stati accompagnati, scrive Galli, dall’affermazione di due “feticci della modernità”: la ‘tecnica e la ‘autonomia’. “La tecnica nelle sue più varie forme e accezioni: dal vastissimo campionario delle prescrizioni circa le modalità presunte ‘scientifiche’ d’insegnamento e di accertamento dei risultati degli studenti, alle procedure di reclutamento e di selezione del personale sempre più dominate dall’impersonalità efficientistica del questionario, del test, ovvero da sistemi preformati di autovalutazione, per finire con la panoplia di strumentazione telematica (lavagne elettroniche, computer, e quant’altro) somministrata in dosi tanto massicce quanto dagli esiti didatticamente e culturalmente quasi sempre nulli”.

Sul piano istituzionale l’autonomia, “al di là delle virtuose chiacchiere democratiche”, “ha corrisposto a null’altro che al desiderio da parte del centro politico-ministeriale di spogliarsi – complice il più sciagurato dei regionalismi – di ogni responsabilità, in certa misura perfino finanziaria, riguardo l’intero insieme dell’istruzione. Che così ne è uscito inevitabilmente frantumato, segmentato per linee di divisione geografica e sociale nonché di capacità economiche, drammaticamente diviso tra Nord e Sud, in balia delle più casuali e incontrollate capacità (o incapacità) di questo o di quello. Privata della bussola di una direzione politica unitaria la nostra scuola si presenta oggi, così, come una mirabile accozzaglia di progetti, iniziative, corsi, attività, offerte formative che con i più vari obiettivi spaziano sui più vari ambiti”.

Una rappresentazione indubbiamente brillante e suggestiva dello stato attuale della scuola italiana che si inquadra nella più ampia analisi che Galli della Loggia conduce da anni sui motivi storici della debolezza dell’identità nazionale italiana.  Una debolezza cui, a nostro avviso, non si può porre rimedio osservandola con gli occhiali della nostalgia per il ruolo che i grandi apparati dello Stato liberale unitario, tra i quali indubbiamente anche il Ministero della Pubblica Istruzione, hanno storicamente giocato nella costruzione del senso di appartenenza a una comunità nazionale.

Quella funzione della scuola pubblica (“una qualifica”, come precisa lo stesso Galli, che per i suoi edificatori aveva significato “non solo aperta a tutti, ma anche volta a un fine collettivo, a un interesse pubblico”) va oggi ripensata in chiave moderna, se non addirittura postmoderna, guardandola con gli occhiali preveggenti di un Bauman o di un Morin, che vedono nella formazione critica dell’individuo l’unico antidoto alla massificazione e alle nuove servitù prodotte dalla globalizzazione, dalla ibridazione dei popoli e delle culture e dal ruolo pervasivo di internet e dei social media.