La generalizzazione della scuola dell’infanzia ha bisogno del sistema pubblico integrato

Nella sua legge di riforma dei cicli del 2000 il ministro Berlinguer aveva parlato per primo di generalizzazione della scuola dell’infanzia: “La Repubblica assicura la generalizzazione dell’offerta formativa di cui al comma 1 e garantisce a tutti i bambini e le bambine, in età compresa tra i tre e i sei anni, la possibilità di frequentare la scuola dell’infanzia.” Parlava di Repubblica (non di Stato).

Tre anni dopo il ministro Moratti nella sua legge di riforma prevedeva “È assicurata la generalizzazione dell’offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia”.

Destra e sinistra d’accordo, dunque, sull’obiettivo di generalizzare la scuola dell’infanzia, ma sul come procedere forse manca una chiarezza completa e condivisa.

C’è chi ritiene che generalizzazione sia sinonimo di scolarizzazione e che, quindi, l’obiettivo della generalizzazione sia raggiunto quando il 100% dei bambini di 3-5 anni sia scolarizzato.

Ma la generalizzazione del servizio, più che la domanda da parte delle famiglie, riguarda principalmente l’offerta da parte della Repubblica nelle sue varie accezioni, Stato compreso.

Oggi la Repubblica italiana ha un sistema pubblico integrato dove la scuola paritaria ha pari dignità e concorre alle finalità generale del sistema educativo nel rispetto degli ordinamenti scolastici.

La scuola dell’infanzia paritaria (a gestione privata, religiosa, comunale) accoglie circa il 40% dei bambini del settore.

Pensare oggi che si possa o si debba ampliare il servizio, generalizzarlo, istituendo soltanto sezioni statali per sostituire l’altra parte del sistema pubblico integrato (le paritarie), anziché cercare di coordinare meglio l’offerta di servizio sul territorio in una logica di effettiva integrazione e di pianificazione condivisa dello sviluppo, ci sembra abbia poco senso, tanto più in un periodo nel quale lo Stato non riesce a far fronte agli attuali impegni finanziari.