La ‘chiamata diretta’, quali i possibili rilievi di incostituzionalità

Tra i temi più contestati alla base dello sciopero generale unitario della scuola per il 5 maggio vi è senz’altro quello dei poteri ritenuti eccessivi del dirigente scolastico, nel caso di approvazione senza modifiche del disegno di legge sulla scuola n. 2994.

Sui contenuti (di cui ci siamo occupati negli articoli negli articoli Ddl Buona scuola/2. Come il dirigente assumerà i docentiDdl Buona Scuola/8. Il nuovo ruolo del Dirigente scolastico, e, con un parere legale più specifico, in L’ampliamento dei poteri del dirigente scolastico amplierà il contenzioso?) ci ha scritto l’avvocato Salvatore Russo, esperto di diritto scolastico di Roma, a sostegno della tesi di incostituzionalità della “chiamata diretta nel ddl Scuola.

Per Russo, “Con il ddl Scuola si vuole riproporre nuovamente il principio della cosiddetta “chiamata diretta” da parte del Dirigente Scolastico. Più volte, nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito a tentativi più o meno eclatanti volti a inserire questa procedura all’interno del reclutamento degli insegnanti”.

Questa particolare versione della “chiamata diretta” da parte del Dirigente Scolastico – continua l’esperto di diritto scolastico – tenta di “superare” l’impasse creata dalla violazione dell’art 97, comma 3, della nostra Carta Costituzionale (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”) attribuendo al Dirigente Scolastico, in base all’art. 7 comma 2 del ddl in esame, la facoltà di “selezionare” il personale docente, attingendo da un albo territoriale, solo dopo l’avvenuta immissione in ruolo”.

Però, secondo Russo, “risulta palese che tale determinazione “supera” solo “sulla carta” l’assunto costituzionale citato istituendo semplicemente un mero “passaggio” formale senza rilevanza di sorta dallo status giuridico di docente precario a quello di docente di ruolo per poi porre in essere la vera “selezione” non regolata da pubblico concorso in totale spregio del medesimo principio costituzionale. Più volte la Corte Costituzionale ha decretato l’incostituzionalità di norme che volevano “superare”, appunto, solo formalmente il vincolo della selezione per pubblico concorso individuando l’obiettivo reale e sotteso all’interno della disposizione sottoposta al suo vaglio; si pensi, solo per citarne alcune, alla recente Sentenza n. 37/2015, ma anche alle sentenze nn. 217/2012 e 7/2011. Ci sono, dunque, precedenti già acclarati in cui la Consulta ha evidenziato la necessità di procedere alla selezione, non solo formale, del personale nella Pubblica Amministrazione sulla base di criteri imparziali e trasparenti che solo se rispettosi di tali principi possono superare il vaglio di costituzionalità”.

Nell’albo territoriale, di cui all’art. 7 comma 4 del ddl, confluiranno – continua Russo –, inoltre, sia docenti neo-immessi in ruolo sia i docenti già in ruolo, e quindi soggetti alla precedente normativa, che hanno usufruito della mobilità territoriale e professionale. Tale disposizione appare, a mio avviso, procedura che definirei pericolosa essendo evidente che, in tal modo, risultano compromessi i diritti acquisiti di docenti già in servizio a tempo indeterminato all’interno della Pubblica Istruzione inseriti, loro malgrado, nel nuovo albo territoriale”.

Risulta, inoltre, evidente – prosegue il legale – che i docenti neo-immessi in ruolo che convergeranno nell’albo territoriale per essere utilizzati per la copertura dell’Organico Funzionale saranno a tutti gli effetti docenti di ruolo deprivati di alcune tutele e diritti finora riconosciuti; saranno effettivamente docenti “di serie B”, costretti a vivere, nonostante la stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, nella medesima situazione di precarietà di quando lavoravano “da supplenti” e costretti, se il caso, a vagare da una scuola all’altra non solo anno dopo anno, ma anche – e paradossalmente – all’interno del medesimo anno scolastico. Tale situazione di precarietà risulta, inoltre, mutuata in senso peggiorativo dal ruolo attribuito al Dirigente Scolastico, destinatario ultimo della facoltà di decidere discrezionalmente sul destino lavorativo di quelli che diventerebbero, a tutti gli effetti, suoi “dipendenti””.

Per l’avvocato, “vi sono altri principi di rango costituzionale che appaiono palesemente minati dalla disposizione in esame quali quelli sanciti dall’art. 33, comma 1, Cost. secondo cui “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e dall’art. 97, stavolta nelle sue determinazioni riportate nel comma 1, che impone il principio di buon andamento e imparzialità all’interno della Pubblica Amministrazione”.

Il potere conferito al DS, con questo ddl – sostiene Russo –, appare eccessivamente ampio e poco definito nei limiti e nei termini. Sarà il DS a elaborare il Piano dell’offerta triennale con il solo onere di “consultare”, senza obbligo di ottenerne l’approvazione, il Collegio Docenti e il Consiglio di Istituto e sarà sempre il DS a scegliere i docenti che dovranno far parte dell’Organico Funzionale d’Istituto, li dovrà valutare e deciderà anche i “compensi” aggiuntivi da conferire ai più “meritevoli” tra i lavoratori. La compromissione dell’art. 97, comma 1 della nostra Costituzione appare evidente. Nella scuola pubblica devono essere consacrati, inoltre, principi di libertà, collaborazione e cooperazione nella progettazione dell’azione educativa che sono proprio alla base dell’idea di scuola pubblica pluralista e democratica e che l’art. 33 Cost. ha voluto tutelare in ogni sua forma proprio riconoscendo, senza limite alcuno, la più ampia libertà all’attività educativa e di insegnamento. La libertà di insegnamento sancita dall’art. 33 della nostra Carta Costituzionale, infatti e come già evidenziato, non è principio “generico” nelle sue determinazioni, ma è  principio assolutamente preciso proprio nell’ampiezza del respiro che vuole riconoscere all’azione educativa ed è evidente che, se il Dirigente Scolastico detenesse senza limitazione alcuna il potere “decisionale” di selezione, valutazione e remunerazione dei docenti, questo principio finirebbe immancabilmente per diventare lettera morta. La libertà di insegnamento comporta completa autonomia sia metodologica sia progettuale nel porre in essere l’azione educativa che non può essere messa “sotto ricatto” o assoggettata alla “scelta” e alla discrezionalità del Dirigente Scolastico”.

Il principio di imparzialità consacrato nell’art. 97, comma 1, Cost. risulta – conclude Russo – comunque compromesso nel momento in cui tale imparzialità non risulterà più oggettivamente rilevabile dall’esterno e il “buon andamento” della Pubblica Amministrazione, affidato alla gestione quasi “personalistica”, mi si passi il termine, del Dirigente Scolastico, non risulterà neanche valutabile in modo assoluto, inequivocabile e con la dovuta e necessaria trasparenza. La gestione di un’istituzione come la Scuola Pubblica, per concludere, non può e non deve essere paragonata e “rapportata” alla medesima logica di gestione di un’azienda privata perché non è assolutamente questo lo scopo prefisso. Fine ultimo della Scuola Pubblica è la formazione di liberi cittadini inseriti in una comunità anch’essa libera, pluralista e democratica di cui la Repubblica, nel pieno rispetto dei dettami costituzionali, deve farsi con ogni mezzo garante e promotrice”.