Istruzione professionale: la Lombardia difende il suo modello

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L’esito del referendum è stato interpretato dalle Regioni, e in prima fila dalla Lombardia, la più impegnata nella costruzione del sistema regionale di Istruzione e formazione professionale (IeFP) anche come rifiuto degli elementi di ri-centralizzazione contenuti nella riforma costituzionale targata Renzi-Boschi, uno dei quali riguardava proprio la revisione dell’istruzione professionale gestita dallo Stato, con la previsione in uscita dal biennio iniziale di un terzo anno professionalizzante in alternativa al normale terzo anno del corso quinquennale.

Tale possibilità è esplicitamente contemplata dall’art. 6, comma 2, dello schema di decreto legislativo: “Al fine di facilitare e potenziare i raccordi con il sistema di istruzione e formazione professionale, le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione professionale possono ampliare la propria offerta formativa a norma dell’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, anche per la realizzazione, a conclusione del biennio, di un terzo anno, in cui lo studente può conseguire, in classi distinte da quelle in cui proseguono i percorsi quinquennali, le qualifiche professionali di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226”.

È vero che lo stesso comma continua prescrivendo che l’attivazione di questo particolare terzo anno con qualifica sia possibile solo se ciò è “previsto dalla programmazione delle singole Regioni, nell’esercizio delle proprie competenze esclusive in materia”, ma alla Regione Lombardia questa possibilità data agli istituti professionali statali deve essere apparsa come una forma di concorrenza sleale nei confronti dei percorsi regionali triennali di IeFP, sviluppatisi in questi anni con crescente successo come percorsi alternativi a quelli degli istituti professionali di durata quinquennale. Alternativi, non concorrenti.