Insegnanti di religione: provare per credere!

Riceviamo questa lettera dal lettore Dario Sebastiano Pagano, dal titolo “Provare per credere!”, e volentieri la pubblichiamo, seguita da una nostra breve risposta.

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Gentilissimi responsabili di “tuttoscuola”,

sono un insegnante di religione di ruolo che segue quotidianamente il vostro sito.

Sono rimasto molto amareggiato dal commento “di parte” che avete fatto il 14.04.2009, riportando sul vostro sito la notizia del quotidiano Avvenire sugli avvalentisi di religione e sugli insegnanti di religione, già pubblicata sul quotidiano citato alcuni giorni fa.

Le Vostre supposizioni non fanno altro che confermare quanto Avvenire ha pubblicato.

E’ tanto difficile capire che se aumenta il numero di alunni per classe diminuiscono le classi complessive e, di conseguenza, il numero di insegnanti di religione? E’ così complicato comprendere che per un ragazzo è più “appetibile” entrare un’ora dopo, uscire un’ora prima o “riposarsi” un’ora nell’arco della giornata scolastica piuttosto che studiare religione? Perché, nonostante l’esistenza dell’ora del “nulla”, la quasi totalità degli studenti del Sud, in tutti gli ordini di scuola, si avvale dell’ insegnamento della religione cattolica? In quale altra disciplina vengono tagliati/eliminati i posti di insegnanti di ruolo? Quale insegnante lavora senza vedersi riconosciuto il punteggio del proprio servizio di insegnamento nelle graduatorie ad esaurimento? A quali insegnanti è concesso, avendo i titoli (abilitazioni), di cambiare disciplina di insegnamento? Quali docenti insegnano in 18 classi? E ancora: perché non rendete pubblico il numero di docenti di sostegno che sono passati ad altri insegnamenti? In molte scuole, poi, vi sono docenti di lettere che insegnano per 9 ore e completano l’orario cattedra con “strani” progetti e con ore a disposizione…

Il Vostro modo di porre le notizie sugli insegnanti di religione parte a priori dal non considerare i docenti di religione alla stessa stregua degli altri insegnanti: provate voi a scegliere di insegnare religione ed a percorrere tutto l’iter di un docente di religione. Dopo vi inviterei ad esprimere con forza le vostre più profonde idee.

Personalmente mi ritrovo con due abilitazioni nella Scuola Primaria: non ho mai potuto utilizzare il servizio prestato come insegnante di religione nelle ex graduatorie permanenti, attuali graduatorie ad esaurimento.

Tanti di noi hanno scelto di insegnare religione perché sono convinti dell’importanza della presenza della cultura storico/religiosa nella scuola italiana.

La mia formazione, infatti, comprende 7 anni di studio presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, per conseguire la Licenza in Teologia Fondamentale (Laurea nell’ordinamento didattico italiano). Avrei potuto laurearmi in pedagogia o in filosofia, frequentando con il vecchio ordinamento solo 4 anni di università, ma ho preferito approfondire gli studi teologici che nell’intero percorso includono un biennio filosofico ed esami di sociologia, psicologia, pedagogia.

Ci gratifica solo la vicinanza dei nostri alunni, gli unici a capire la necessità di continuare a studiare religione nella scuola statale.

E’ vero che, dal momento in cui si è svolto il “primo” concorso per insegnanti di religione, maggiore dignità è stata data a questa categoria di docenti. Ma, anche se abbiamo gli stessi doveri degli altri insegnanti, siamo ancora lontani dall’avere gli stessi diritti, così come siamo ancora lontani dal vedere scomparire quei pregiudizi che vorrebbero collocare il docente di religione in una “classe” inferiore. 

Provare per credere!

Dario Sebastiano Pagano

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L’articolo Il 91% degli alunni sceglie l’ora di religione, ma i loro docenti si sentono vittime di pregiudizi non affronta il problema dei possibili pregiudizi di cui sono oggetto gli insegnanti di religione, ma considera che, in tempi come questi in cui circola preoccupazione per il futuro tra i docenti di ogni disciplina, solo gli insegnanti di religione saranno poco toccati, se non esclusi, dalle prossime contrazioni di posti in organico.

La Redazione

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