Il Service Learning nella scuola di domani: un’utopia?

Di Teresa Madeo*

Proporre diffusamente il Service Learning corrisponde per molti versi a chiedersi in che modo sia possibile educare l’intelligenza sociale. Non so se a qualcuno di voi accade ciò che sta succedendo a me in questo periodo: non parlo di fatti concreti, ma di percezioni (oserei definirle quasi aptiche), sensazioni, impressioni, sfuggenti, eppure quasi palpabili, dettate da una nuova temperie relazionale, dall’intuizione che stiamo vivendo in un momento di grandi trasformazioni culturali, sociali, generazionali. Siamo esseri sociali, però conflittuali, bisognosi dunque di apprendere l’altruismo, di aprirci alla realtà nella quale siamo immersi, di superare i limiti della “cattiveria”(intesa come cattività), scoprendo il senso della “bontà” dei valori etici. “L’importante non è conoscere il bene, ma essere buoni” (Aristotele). Per questa ragione l’educazione ai valori deve comprendere l’educazione alla virtù, che in automatico indirizza all’azione. Io adesso, io per prima, nel timore di rimanere esclusa da questo fermento, bloccata nell’inazione, credo ancora più cruciale e sostanziale la necessità dell’aggiornamento continuo.

L’età media degli insegnanti italiani supera abbondantemente i 50 e il gap generazionale implica inevitabilmente che intercorrano delle differenze significative tra studenti e corpo docente, che, senza una adeguata formazione, finiranno per parlare linguaggi diversi, per non comprendersi più addirittura a partire dalle parole utilizzate.A proposito di Linguaggi, io conosco poco l’inglese (ne approfitto per fare un mea culpa, ammettendo di averlo sempre snobbato, dall’alto di una presunta superiorità culturale del nostro idioma nazionale); oggi però mi accorgo che, quasi senza volerlo, ho dovuto appropriarmi di alcune espressioni intraducibili in italiano, veicolando con queste contenuti molto specifici.Si sa, le parole danno forma al pensiero e dunque siamo ormai obbligati a sapere cosa si intende per coding, flipped classroom, job shadowing. Non che non esistano parole italiane per tradurle, ma queste hanno il limite di tutte le traduzioni, lasciano spazio ad interpretazioni troppo spesso decontestualizzate e che faticano a rendere la materia specifica di cui si sostanziano.Non dico che basti masticare un po’ di più le lingue comunitarie per essere di colpo insegnanti migliori, più cool (per rimanere in tema), così come non serve conoscere l’esistenza di tutta la miriade di sistemi comunicativi disponibili, di nuovi linguaggi, di programmi e app (peraltro tutte cose di fatto poco utilizzate nella nostra scuola fino a qualche mese fa) per diventare paladini dell’innovazione, pronti a combattere la dispersione scolastica e la povertà educativa.

È necessario che si abbracci una determinata visione di scuola, che si scelga quale modello educativo seguire per ammiccare in modo convinto il cambiamento, dinamismo che parte, come abbiamo visto, ad esempio nell’ultimo anno, dal movimento dei “Friday for future”, progetti o programmi di servizio solidale, destinati a soddisfare in modo delimitato ed efficace un bisogno vero e sentito in un territorio, lavorando con e non soltanto per la comunità. In questi modi gli studenti partecipano da protagonisti ad azioni specifiche che vanno dalla fase iniziale di pianificazione fino alla valutazione conclusiva, espressione intenzionale di specifici contenuti di apprendimento (da contenuti curricolari a riflessioni a sviluppo di competenze per la cittadinanza e il lavoro).

Per poter intraprendere azioni di Service Learning, bisogna dunque inserire le attività realizzate dalle scuole nel curricolo scolastico, rispondere a un bisogno/problema presente nel contesto di riferimento, individuare soluzioni insieme ai membri della comunità e favorire negli studenti il ruolo di protagonisti in tutte le fasi (dall’ideazione alla valutazione). I percorsi di Service Learning possono essere realizzati in qualsiasi ordine di scuola, immaginando che lo studente, impegnato nello studio, di qualsiasi indirizzo scolastico, venga coinvolto in un progetto di sensibilizzazione sociale e di intervento sul territorio, che si può realizzare grazie alle conoscenze e alle competenze sviluppate, ecco che la dimensione dell’apprendimento si incontra con la dimensione del servizio. Mettendo a disposizione di un progetto di miglioramento la propria competenza scolastica, lo studente non rende solo un servizio alla sua comunità, ma anche a se stesso, perché il suo apprendimento sarà sicuramente migliore, dal momento che avrà potuto sperimentare nella realtà, misurandosi con problemi veri, quanto il contesto-scuola gli propone all’interno di una situazione artificiale. Si capisce così il significato di uno slogan spesso ripetuto, a proposito di Service-Learning: «Apprendere serve, servire insegna». Ecco che cos’è il Service Learning, una proposta pedagogica che unisce la dimensione del «servizio» con la dimensione dell’«apprendimento» , affinché gli allievi possano sviluppare le proprie conoscenze e competenze attraverso un servizio solidale alla comunità. La sua sfida è di impostare percorsi di studio nei quali apprendimento e servizio si confondono, e, fondendosi insieme, si rafforzano reciprocamente. La dimensione di partenza del SL è la didattica per competenze e la formulazione di argomenti per compiti autentici: è dunque necessario in primis un ripensamento della didattica e della valutazione (per competenze).

 IL SL è uno dei possibili percorsi per la formazione del soggetto (studente, cittadino e lavoratore), in quanto permette di creare situazioni didattiche autentiche in cui gli studenti possono sviluppare competenze di varia natura (professionale, di cittadinanza e sociale), riducendo la distanza tra apprendimento e vita reale (Selmo, 2014).Questo è un vero e proprio approccio pedagogico che promuove una visione di scuola civica e aperta, in costante relazione con l’esterno, che favorisce nello studente l’acquisizione di conoscenze, valori, abilità e atteggiamenti associati con l’impegno civico attraverso un’esperienza scolastica strutturata all’interno della comunità (Furco, 1996).

Si può fare? Molte esperienze ce ne testimoniano la fattibilità e ormai una vasta letteratura scientifica lo conferma. Gli studenti impegnati in proposte di Service Learning si mostrano molto più motivati, diventano non solo buoni cittadini, ma studenti migliori, perché capiscono che ciò che sanno e fanno “serve”. Gli insegnanti stessi riscoprono il senso sociale del loro lavoro, ritrovano il piacere di una professione non subordinata alle richieste di una cultura funzionalista e mercantile, ma indispensabile per ridare un nuovo umanesimo alla convivenza.

Portare gli studenti a misurarsi con problemi reali comporta inserire nel curricolo – di tutti gli ordini scolastici-una forte apertura alla realtà, nei suoi aspetti sociali, culturali, ambientali. La didattica, così intesa, diventa promotrice di quella “bontà” richiamata all’inizio della mia riflessione,“un invito all’incontro, all’uscita dalla autoreferenzialità, un contributo a capire i problemi del mondo di oggi”. Italo FIORIN – Direttore Scuola di Alta formazione Eis – Università Lumsa

*Professoressa IIS CELLINI FI; Docente Utilizzata su Progetti Nazionali presso USR Toscana