Il preside della scuola più grande d’Italia: ‘La maggiore fonte di stress? La sicurezza’

Dirige 3.900 alunni, 320 docenti e 105 ATA

Lo contattiamo mentre sta rientrando da scuola, in una Sicilia afosa, in un sabato pomeriggio di fine estate. E’ Vito Pecoraro, il dirigente scolastico recordman italiano e, quasi sicuramente, europeo: da settembre 2018 è a capo dell’istituto con più studenti in Italia, l’alberghiero “Pietro Piazza” di Palermo, 2.840 studenti, e – come se non bastasse – l’anno scorso reggente del comprensivo “Maredolce”, 1.062 studenti in 55 classi. In totale, 175 classi e quasi quattromila studenti (3.902) dai tre ai 18 anni. Di molto sopra la media italiana, già altissima, di 1.194 studenti. Cinquantadue anni, ex insegnante di francese, i primi due anni da dirigente scolastico in Emilia Romagna (ha vinto il concorso del 2006, a 41 anni) e poi il ritorno in Sicilia.

Come si  è sentito l’anno scorso quando le hanno aggiunto anche la reggenza del comprensivo?

“L’ho voluta io. Ho sentito il dovere morale di prenderla: è la scuola dove ho lavorato otto anni, non potevo abbandonarla. Ho la fiducia del corpo docente ed un ottimo staff: prendere la reggenza significava un passaggio indolore, nel segno della continuità. Grazie alla legge 107 non mi sento solo a gestire tutto questo, posso contare su uno staff dirigenziale che funziona bene. Faccio riunioni periodiche con i collaboratori e i coordinatori di dipartimento e posso dire che non mi sfugge nessuna delle cose più importanti. Quello che fa più paura è il tema della sicurezza. Ciò che manca è il coordinamento tra noi dirigenti e l’ente locale”.

E’ riuscito a porre in essere un buon middle management?

“Ho trovato un buono staff dirigenziale ed ho lavorato per metterlo a sistema. E’ ovvio che una realtà cosi grande la si gestisce attraverso le riunioni con i collaboratori più stretti. Nel comprensivo vado un giorno fisso a settimana più ovviamente i giorni dei collegi e dei consigli: riesco a seguirlo a distanza avendoci lavorato otto anni. Obiettivamente due scuole da gestire sono due mondi completamente diversi, dall’infanzia sino all’adolescenza inoltrata”.

Lo sa che se lei fosse in Finlandia avrebbe altri cinque DS con i quali condividere il peso di queste due scuole?

“Auspico che in Italia si possa andare in questa direzione, almeno con il rafforzamento della figura chiave del vicepreside: se fosse una figura alla pari allora sì che ci sarebbe davvero un peso condivisa. In Francia è un dirigente scolastico a tutti gli effetti. Il DS potrebbe occuparsi più della parte gestionale mentre la parte didattica sarebbe affidata al vicepreside. A livello parlamentare bisognerebbe pensarci”.

Quali sono le principali fonti di stress per lei?

“Al primo posto la gestione quotidiana della sicurezza. Ogni giorno nell’alberghiero ho il pensiero costante dei ragazzi che usano le cucine. Per fortuna ho la Rspp interna, vanno controllate in continuazione. Il pensiero dei ragazzi che sono fuori: escono non una ma dieci – quindici classi insieme. Il pensiero delle prove di evacuazione: l’alberghiero è su sei piani, direttamente su strada quindi anche i punti di raccolta devono essere ben percepiti da tutti dato che devono uscire quasi 3200 persone. Riusciamo ad evacuare in nove minuti ma –  e me lo chiedo ogni mattina – se invece di una prova programmata ci trovassimo di fronte ad un’emergenza vera, un terremoto o un incendio, sarebbe così facile? Mancano fondi nelle scuole per una costante formazione del personale: tra personale docente e Ata ho circa 500 persone da formare e dotare di dispositivi di sicurezza. I fondi dobbiamo inventarceli”.

E la seconda maggiore fonte di stress?

“Il coordinamento con l’ente locale. Noi siamo datori di lavoro e a volte avvisare l’ente locale del rischio non ci solleva dalle responsabilità. Alcuni  edifici sono pubblici ed altri privati – situazione molto comune al sud – e quindi anche se ci sono finanziamenti del Miur per l’edilizia non possiamo utilizzarli per tutti i plessi. Non riusciamo a garantire ai ragazzi il momento dell’assemblea d’istituto perché l’aula magna non è sufficiente a contenerli tutti. Una parrocchia limitrofa ci ospita ma sono sempre solo 700 posti. La palestra è piccolissima ma siamo riusciti a trovare un accordo con il presidente della circoscrizione per un campetto vicino. Io vorrei che i ragazzi facessero due ore di pratica sportiva ma invece siamo costretti a farne solo una e l’altra di teoria, proprio per ragioni strutturali”.

Con un carico del genere riesce a sentirsi leader educativo?

“Al cento per cento no, ma mi sento motivato, lo faccio con passione. Non conosco di persona tutti i miei docenti, anche a causa del turnover dei supplenti. Cerco di incontrarli quanto più possibile, vado in sala professori, entro nelle classi. Consideri che in collegio docenti ho 350 persone davanti a me. E’ brutto dirlo, ma a volte sono ‘un numero’. Tutti non ce la faccio a conoscerli, e questo mi dispiace.

Lamentarsi per lamentarsi non serve a niente. Le difficoltà ci sono perché non siamo supportati ma i riconoscimenti quotidiani che ho dai docenti e dalle famiglie, i ragazzi che mi scrivono che voto hanno preso sono emozioni che mi ripagano di tutto. Certo, fino a quando ho diretto solo l’istituto comprensivo, mi riconoscevo come leader educativo. Con i numeri di quest’anno è più difficile. Mi auguro che i colleghi che stanno facendo il concorso per DS possano entrare in servizio al più presto e darci una mano”.

Quali soluzioni suggerirebbe per alleviare il peso del lavoro dei DS per liberare tempo per gli aspetti più strategici della professione?

“In primo luogo un riconoscimento delle figure di supporto, non soltanto del DS ma anche del Dsga (che dovrebbe essere assistito da un coordinatore amministrativo). Almeno una figura di supporto ciascuno, anche per alleviare il peso dell’ordinaria amministrazione”.

(Intervista a cura di Anna Maria De Luca)