Il caso Scattone tra amplificazione mediatica e dramma esistenziale

Ha avuto coraggio il ministro Stefania Giannini a dire in pubblico che avrebbe mandato tranquillamente sua figlia a scuola a prendere lezioni dal professore Giovanni Scattone, a suo tempo condannato in via definitiva per l’omicidio della studentessa Marta Russo, avvenuto nel 1997.

Non era facile prendere posizione dopo l’esternazione della madre della studentessa, che considerava inaccettabile l’idea che il responsabile della morte di Marta potesse comunque mettere piede in una scuola.

Eppure negli ultimi dieci anni, conclusa l’espiazione della pena, che non aveva comportato l’esclusione dai pubblici uffici, Scattone aveva insegnato come supplente in numerose scuole e aveva acquisito i titoli richiesti per poter aspirare ad essere assunto a tempo indeterminato per fare il mestiere per il quale si era preparato, l’insegnante.

Di fronte al clamore suscitato dalla notizia che egli avrebbe potuto essere uno dei beneficiari delle assunzioni previste dalla Buona Scuola e, riteniamo, per sottrarsi alla gogna mediatica cui sarebbe stato sottoposto fin dal suo ingresso nella scuola romana dove era stato nominato, il quasi cinquantenne ex ricercatore in Filosofia del diritto ha annunciato la sua rinuncia alla nomina, e quindi all’insegnamento.

Non sappiamo se su questa decisione abbia influito di più la dura, ma ben comprensibile sul piano umano, presa di posizione della madre di Marta, oppure il clima forcaiolo e giustizialista alimentato da una parte consistente del sistema mediatico. Del resto sul giudizio incide non poco la particolare natura della professione verso cui si è indirizzato Scattone. Non si può non notare, tuttavia, che anche in questo caso il Paese di Cesare Beccaria ha perso un’occasione per dimostrare in concreto che lo scopo della pena non è la vendetta sociale, il marchio indelebile sul destino del reo, ma il reinserimento sociale di chi ha scontato la pena secondo le regole. A Scattone questo non è stato possibile, e non è una buona notizia: per lui, ma anche per chi vorrebbe vivere in una società meno condizionata dai clamori e dai furori mediatici.

Ad ogni modo resta il fatto che esprimere un’opinione secca su una questione così delicata è difficile. Come ha scritto un grande giornalista come Massimo Gramellini nella sua rubrica “Buongiorno” su La Stampa, intitolata “il RiScattone”: “la natura di un corsivetto come questo condanna l’autore a esprimere ogni giorno opinioni nette. Stavolta consentitegli di non averne”. Consentite anche a noi di aver posto l’accento su una questione reietta come lo scopo della pena giudiziaria, senza avere la certezza di esprimere un giudizio assoluto su cosa sia giusto in questo caso.