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Gli ITS e il sistema duale in italia: analisi e prosepttive

La sfida
Che gli ITS rappresentino per la scuola italiana un elemento straordinario di interesse lo si capisce chiaramente dal piano di monitoraggio con cui vengono costantemente seguiti. Esso è figlio di un confronto Stato-regioni che ha portato alla Conferenza unificata del 5 agosto 2014 e, successivamente, all’Accordo del 17 dicembre 2015. Tale piano è da allora costantemente seguito, anche ai più alti livelli, dal MIUR, dal MLPS dal MISE, dal MEF, da Confindustria e Federmeccanica.

Si capisce da ciò, abbastanza palesemente, che intorno agli ITS si stia giocando una sfida di grande rilievo, quella di mettere per la prima volta in relazione stabile e significativa il mondo dell’istruzione e della formazione con quello delle imprese, creando le premesse per l’avvio di quel sistema duale che costituiva l’anello mancante della nostra formazione terziaria. La formula è nota: in un percorso biennale di studi di 1.800 ore, con almeno il 50% delle lezioni affidate alle imprese, 800 ore sono dedicate alle attività di stage.

Le imprese, sulla base dei loro bisogni reali di sviluppo e potenziamento, intervengono direttamente in tutte le fasi della progettazione e della realizzazione dei corsi: partecipano alla definizione dei profili formativi e dei percorsi per realizzarli, svolgono un cospicuo numero di interventi didattici, ospitano gli studenti nelle loro aziende per l’effettuazione degli stage, partecipano alle fasi di selezione degli studenti e alle prove finali anche attraverso la presenza dei tutor aziendali.

Consensi e difficoltà
Sugli ITS si è formato un consenso pressoché unanime da parte di tutte le forze politiche che riconoscono nella loro costituzione e sviluppo un deciso passo in avanti nel rapporto tra scuola, impresa e lavoro. Tutto bene quindi, verrebbe da dire, ma in realtà il sistema degli ITS in Italia presenta ancora numeri troppo bassi e, non essendo ancora sufficientemente conosciuto, risulta poco identificabile (il nome richiama troppo da vicino gli istituti tecnici della scuola superiore) e attrattivo.

Siamo in un paese che presenta clamorose contraddizioni, con una mancanza di tecnici da una parte e una disoccupazione intellettuale di enormi dimensioni dall’altra, ma gli ITS mostrano che una via di svolta è possibile e che, seppure per numeri ancora ristretti, il nostro sistema duale risulta efficace. E non solo. Presenta anche un sistema di valutazione con incentivi premianti e disincentivi economici che, malgrado le resistenze di alcune regioni, dovrebbero dare piena efficienza al sistema.

Chi, sulla base degli indicatori previsti (che sono: attività, occupabilità, professionalizzazione/permanenza in impresa, partecipazione attiva, reti interregionali), raggiunge un punteggio superiore a 70 riceve il bonus di incentivazione; chi si attesta sotto i 50 punti resta escluso dal finanziamento. Si tratta di una logica del tutto nuova per la scuola italiana, abituata a non dover rendere conto dei suoi esiti, che dovrebbe portare, secondo le indicazioni del MIUR, a far crescere il numero dei corsi ITS e a far diminuire il numero delle fondazioni che li organizzano.

Lo scoglio qui, da quanto si è potuto vedere fino ad oggi, è rappresentato soprattutto dalle regioni che, in molti casi, stentano a seguire le indicazioni ministeriali anche per ragioni politiche legate al consenso proveniente dai loro territori, anche quando in questi operano ITS che esprimono performance decisamente negative che implicherebbero la loro chiusura, riconversione o fusione in altre fondazioni più performanti. Ma, al di là di tali disfunzioni, si può dire che il sistema degli ITS ha aperto la strada a un incontro tra il mondo della scuola, dell’università e del lavoro di straordinario rilievo. Si può dire che gli ITS rappresentano oggi la testa di ponte di un più generale e complessivo intervento sulla scuola.

Un bivio
 Non dobbiamo nasconderci però che siamo di fronte a un bivio. Il rischio che il sistema non tenga è reale. Un conto sono le attività delle 48 fondazioni esaminate, delle quali 10 (circa il 15%) si sono attestate sotto la soglia minima dei 50 punti, altro conto è il funzionamento di tutto il sistema dell’alternanza nella generalità delle scuole italiane che, è facile intuirlo, troveranno non poche difficoltà ad attuare azioni formative efficaci e coerenti con l’impianto curricolare. Un esito sconfortante potrebbe portare a un effetto bumerang con conseguenze negative di rigetto di tutta la cultura che sottende il sistema duale introdotto con efficacia dagli ITS.

E’ necessario allora potenziare ancora di più l’attività delle fondazioni che hanno operato con risultati di eccellenza, facendo in modo che esse, nei diversi contesti regionali, possano svilupparsi e diffondere buone pratiche organizzative e di gestione. E prima di ogni cosa è necessario lanciare una vera e propria campagna di orientamento a favore degli ITS e dell’istruzione tecnica e professionale, perché, se si vogliono conseguire risultati di efficacia di sistema su tutto il territorio nazionale, non ci si può adagiare al motto che “piccolo è belloIn questo straordinario sforzo di riorientamento e cambiamento di alcuni nefasti paradigmi culturali tutti gli attori sono chiamati a svolgere il loro compito in maniera sinergica, mettendoci del proprio.

E’ troppo facile criticare restando alla finestra o rassegnarsi e gettare la spugna di fronte a sterili campanilismi e a politiche regionali di basso profilo. Qui è in gioco l’avvenire del paese che, tra tante difficoltà, ha bisogno di ripartire da un solido e radicato sistema duale ancorato alle eccellenze del made in Italy e degli altri settori espansivi della nostra economia. Non ci si può accontentare più di poche esperienze riuscite, così come è da scongiurare l’ipotesi di un abbraccio letale degli ITS con il sistema universitario che potrebbe far smarrire l’identità e il senso di una politica scolastica che, dopo un lungo torpore, sembra aver finalmente iniziato un cammino virtuoso coniugando efficacemente istruzione e lavoro.

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