Giustizia in educazione/4. La scuola inclusiva non boccia nessuno

Nella sua introduzione alla sessione del convegno che si è occupata della formazione dei docenti il direttore di Tuttoscuola, Giovanni Vinciguerra, ha rilanciato con forza la proposta, già prospettata dalla rivista negli anni scorsi, che vengano assunte iniziative volte a modificare radicalmente la prassi, assai diffusa tra i docenti italiani, che prevede quasi automaticamente la bocciatura in caso di mancato raggiungimento da parte dello studente di un livello di prestazione standard, o comunque considerato come la soglia minima accettabile.

Sarebbe utile, a tale proposito, e lo si potrebbe fare anche a normativa invariata, proporre l’approccio metodologico, utilizzato con successo nelle esperienze di integrazione in Italia, di una esplicita personalizzazione degli obiettivi formativi, valorizzando le attitudini e le potenzialità individuali e registrando a verbale, senza negarle o occultarle, le limitate performance raggiunte dallo studente in una o più discipline. L’attuale obbligo del sei in tutte le materie ai fini della promozione sarebbe rispettato, in caso di prestazioni limitate, dando a quel voto un valore di attestazione del raggiungimento di un obiettivo personale, o personalizzato, e non di uno standard prestazionale collettivo, impersonale.

Una provocazione? Un’utopia? Forse, ma sarebbe meglio comunque mantenere dentro il sistema di istruzione un numero anche consistente di alunni con alcune gravi insufficienze piuttosto che escluderli condannandoli a un destino di marginalità economica e sociale.

Il costo sociale, e nel medio-lungo periodo anche economico, dell’esclusione (in termini di più difficile occupabilità, interventi assistenziali, propensione all’illegalità, come sottolineato anche in più occasioni dal governatore Ignazio Visco) è incomparabilmente più elevato del vantaggio (ma lo sarebbe?) di salvaguardare una astratta idea di ‘rigore’ nei processi formativi.

La strategia dell’inclusione, per dirla con le parole del prof. Italo Fiorin, esige che “la didattica trasmissiva ancora largamente prevalente (debba) cedere il posto ad una didattica che aiuti a sviluppare pensiero critico, creativo, capace di fronteggiare la complessità dei problemi che si presentano e si presenteranno, capace di fare i conti con l’incertezza e l’inedito”. Ma “questa educazione al pensiero non può riguardare solo pochi fortunati, deve riguardare tutti. Questa è la frontiera da raggiungere, la sfida più difficile”.

L’inclusione, insomma, o riguarda tutti, o non c’è.