Franca Falcucci e l’occasione perduta

Se un cruccio Falcucci ebbe nella sua esperienza politica e di ministro fu quello di non aver potuto portare a compimento la riforma dell’istruzione secondaria superiore, cui si dedicò con impegno certosino e competenza (era stata insegnante di storia e filosofia, e attiva nell’associazionismo professionale).

Ci andò vicinissimo nel 1985, curando personalmente la trattativa all’interno della maggioranza e la messa a punto, articolo per articolo, del testo all’esame del Parlamento. All’ultimo momento, dopo che la legge era stata approvata dal Senato e dalla commissione istruzione della Camera, e si trovava in aula alla Camera per l’approvazione definitiva, venne meno il sostegno del Partito Socialista, per ragioni essenzialmente politiche.

Falcucci provò egualmente a portare avanti il suo progetto di riforma per via amministrativa, ma ormai l’occasione era sfumata, e già si coglievano nel dibattito pubblico i primi segni della svolta che avrebbe condotto a giocare le carte dell’innovazione sul tavolo dell’autonomia delle scuole piuttosto che su quello della riforma degli ordinamenti. Falcucci si ritirò allora dalla scena politica con la serena coscienza di aver fatto tutto il possibile.   

Non fece recriminazioni, e non diede consigli, almeno pubblicamente, ai suoi numerosi successori (Galloni, Mattarella, Bianco, Misasi, Russo Iervolino), alternatisi per brevi periodi nella fase finale della declinante prima Repubblica, della quale la senatrice Falcucci seppe interpretare l’aspetto migliore attraverso la sua paziente, determinata, laboriosa, lungimirante  azione di tessitura riformatrice. Anche se il coronamento della sua opera, la riforma dell’istruzione secondaria, restò vittima dell’aspetto peggiore della prima Repubblica, l’in-decisionismo del sistema politico-istituzionale.