Fedeli, Gelmini, Di Maio. Se la polemica è partisan…

Ancora una volta Valeria Fedeli è finita nel mirino dei media, social e non, che sembrano non perdonare a una donna non laureata di aver occupato il posto che fu del cattedratico Giovanni Gentile e di altre decine di laureati quasi tutti di sesso maschile (ma anche di Benedetto Croce, che di laurearsi non volle mai saperne).

La tentazione di ‘bocciare’ sul campo, anzi in rete, un ministro, anzi una ‘ministra’ dell’istruzione, come lei stessa ha chiesto ai media di essere qualificata per conclamato femminismo, è evidentemente troppo forte in questi tempi di frenetica caccia a notizie di qualunque tipo, pettegolezzi e fake compresi. Figurarsi in questo caso, quando un qualche distratto collaboratore della ministra le ha fatto fare un errore da matita blu confondendo il re di Sardegna e duca di Savoia, Piemonte e Aosta Vittorio Amedeo III, vissuto in epoca napoleonica, con il suo discendente Vittorio Emanuele III, che regnò un secolo dopo.

Il testo originario dell’intervento della Fedeli, pronunciato in occasione del premio Cherasco Storia, è rimasto sull’homepage del Miur per un breve tempo, poi l’errore è stato corretto, ma ormai la tempesta mediatica era scoppiata.    

Al di là dell’incontenibile voglia di punzecchiare la ministra si nota però anche il particolare accanimento con il quale i media antigovernativi, soprattutto quelli di destra, stanno sfruttando il caso per attaccare Valeria Fedeli sul piano personale. Una brutta consuetudine della quale non mancano precedenti, ma di segno (politico) opposto: anche Mariastella Gelmini fu pesantemente criticata ‘da sinistra’ per i suoi titoli di studio e professionali, e messa in croce per la gaffe del fantasioso ‘tunnel dei neutrini’, dovuta anche in quel caso all’errore di un collaboratore.

Colpire una persona anziché la sua attività politica, ciò che è (o si vuole far apparire che sia) anziché ciò che fa, è un aspetto particolarmente negativo della subordinazione dell’informazione a obiettivi di carattere politico, fenomeno favorito dall’esplosione dei social media e che si è purtroppo accentuato negli ultimi anni non solo in Italia: ma da noi con un di più di acredine, di voglia di far male. Un tempo fatti come quelli ricordati, dalla gaffe storica della Fedeli al tunnel della Gelmini (e ci potremmo aggiungere anche la confusione che Di Maio ha fatto tra Venezuela e Cile), sarebbero stati commentati al massimo con battute ironiche. Ai tempi della prima Repubblica si era diffusa la notizia che un politico italiano, in missione a Londra, aveva risposto a una domanda sul suo titolo di studio dicendo di essere “doctor in love”.  Avrebbe voluto dire “doctor in law”, ma la sua scarsa conoscenza della pronuncia inglese gli fece commettere l’errore. Così la domanda successiva fu: “so, are you Casanova?”. Tutti si divertirono, e nessuno pensò di chiedere le dimissioni di quel politico.

Come antidoto a un dibattito avvelenato da polemiche partisan, non resta che sperare nel ritorno in forze dell’ironia. Possibilmente bipartisan.