FARE SCUOLA OGGI

Uno slogan molto fortunato descrive in maniera efficace il grande cambiamento che si è verificato, in tempi recenti, nel modo di pensare alla scuola e ai suoi compiti fondamentali: “dalla scuola dell’insegnamento alla scuola dell’apprendimento”. Che cosa si vuole intendere con tale affermazione?  Ci può venire in aiuto una nota citazione, utilizzata dallo stesso E. Morin, quando riporta il detto attribuito a Montaigne:  <<è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena>>[1]. Forse che l’insegnare si possa interpretare come un ‘riempire le teste’?.  Non è, certo, questo il senso di insegnare, verbo che rimanda a ben più profondi significati.[2]. L’insegnante è colui che lascia una traccia, che segna l’esperienza dei suoi allievi. Nell’essere insegnante è implicito l’avere una grande responsabilità. Scrive D. Pennac, ricordando la sua esperienza molto dolorosa di alunno eternamente votato all’insuccesso:<>. [3]

 Cambiare la prospettiva dell’insegnamento

 Dire che siamo di fronte ad un cambiamento di prospettiva, che vede l’apprendimento balzare in primo piano e prendere il posto centrale che tradizionalmente era stato occupato dall’insegnamento, non significa cancellare o anche solo impoverire la funzione di chi insegna. In gioco non è l’importanza della relazione educativa, e in particolare l’autorevolezza dell’insegnante, che ne ha la principale responsabilità, ma ciò che viene messo in discussione è quella impostazione didattica consolidata da una lunghissima pratica che vede l’insegnante preoccupato di trasmettere conoscenze e di formare abilità destinate a durare nel tempo.

<[4]>>

Che la scuola debba insegnare a pensare, e non imbonire di nozioni gli studenti è stato detto da autorevoli pensatori, fin dall’antichità e le citazioni, riferibili a tutti i periodi storici, sarebbero veramente numerose.  In realtà, nell’immagine della ‘testa ben fatta’ , E. Morin propone, oltre alla critica alla scuola nozionistica e pedante, qualcosa di molto nuovo, che spiega perché sia ritenuto indispensabile cambiare paradigma, assumendo come riferimento chiave l’apprendimento e non l’insegnamento.

Oggi la necessità di una rivoluzione paradigmatica è molto più forte e urgente del passato. In un breve arco di tempo si è compiuto il passaggio da una società caratterizzata da una economia impostata sul modello industriale ad una di tipo post-industriale, dalla modernità alla post-modernità.: <[5] >>

Il mercato del lavoro cerca lavoratori con una formazione elevata, che dimostrino capacità di ragionamento, di assunzione di responsabilità, di fronteggiamento efficace di nuovi problemi e di acquisizione di nuove competenze. << L’economia della conoscenza richiede molto di più che la memorizzazione dei fatti e delle procedure. Oggi l’educazione dei lavoratori deve includere una comprensione teorica dei concetti complessi, nonché la capacità di utilizzarli in modo creativo per generare nuove idee, nuove teorie, nuovi prodotti e nuove informazioni. Un lavoratore formato secondo questi criteri deve essere in grado di valutare criticamente quello che legge, di esprimersi con chiarezza, sia verbalmente, sia per iscritto, e di comprendere il pensiero scientifico e matematico. Deve inoltre apprendere a conoscere in modo integrato ed applicabile, piuttosto che riprodurre una serie di fatti e di comportamenti stagni e in modo decontestualizzato. Deve infine essere in grado di assumersi la responsabilità del proprio apprendimento continuo, sull’arco di tutta la vita. Queste capacità sono di grande importanza per l’economia, per mantenere il successo della democrazia, e per condurre un’esistenza soddisfacente, significativa>>.[6]

Non sarà rimanendo dentro l’antico paradigma dell’insegnamento trasmissivo e dentro il vecchio rigido impianto della burocrazia scolastica che si potranno trovare le risposte efficaci.  <[7]>> Come richiama E. Morin, più che di riforme di programmi c’è bisogno di riformare il pensiero che utilizziamo quando ci occupiamo del senso della scuola nel XXI secolo.

Il nuovo contesto richiede ai sistemi educativi, in particolare alla scuola, di ripensare profondamente la propria impostazione, rivedendo metodi, contenuti, riferimenti valoriali.

La consapevolezza della inservibilità del modello didattico tradizionale postula un profondo cambiamento nella impostazione didattica, pena il rischio che essa diventi sempre più anacronistica, incapace di fornire l’attrezzatura cognitiva indispensabile a vivere nella complessità di una società dove tutto si modifica rapidamente, e conoscenze e abilità acquisite dopo un lungo tirocinio scolastico possono, molto presto, risultare inservibili.

 Insegnare ad apprendere, cioè?

La società della conoscenza, figlia di un’economia molto diversa da quella della società industriale, mette sul tavolo buoni argomenti a sostegno del cambiamento e apre suggestive possibilità per chi saprà intraprendere tale strada. Ma vanno messi in luce anche i rischi presenti, se a prevalere saranno le dure ragioni del mercato e non quelle del più pieno sviluppo della persona e della convivenza umana.

Affinchè la società e l’economia della conoscenza possano risultare veramente una grande opportunità per gli uomini del XXI secolo è necessario non solo porre al centro dei sistemi formativi l’apprendimento, ma precisare i tratti che tale apprendimento dovrebbe avere.

Ancora una volta prendiamo spunto da uno slogan molto fortunato: ‘insegnare ad apprendere’, sul cui significato sembrerebbe esserci un accordo universale. Tale espressione sintetizza il compito oggi affidato ai sistemi di istruzione. Se, infatti, si sposta l’enfasi dall’insegnamento all’apprendimento, insegnare ad apprendere diventa l’obiettivo cruciale.

Ma quali dovrebbe essere le dimensioni caratterizzanti tale apprendimento?

L’indicazione più autorevole ci viene offerta dal Rapporto Dèlors, dal nome dell’autorevole coordinatore[8]. Il Rapporto si interroga su che cosa sia richiesto per fronteggiare adeguatamente le sfide che il XXI secolo pone e vede nell’educazione la principale risorsa. Bisogna avere coraggio di puntare sull’educazione, che viene definita come utopia necessaria: << Nell’affrontare le numerose sfide che il futuro ha in serbo, l’umanità vede nell’educazione una risorsa indispensabile nel suo tentativo di realizzare gli ideali di pace, libertà, giustizia sociale. In conclusione dei suoi lavori la Commissione ribadisce la propria convinzione riguardo alla funzione essenziale dell’educazione nello sviluppo continuo della persona e della società. La Commissione non vede l’educazione come una cura miracolosa, quasi un “Apriti Sesamo” per un mondo nel quale tutti questi ideali saranno realizzati, ma come una via, non la sola, ma certamente più importante delle altre, al servizio dello sviluppo umano più armonioso e più genuino possibili, in grado da sconfiggere la povertà,  l’esclusione, le incomprensioni, la guerra>>[9]

L’educazione rappresenta il cuore pulsante del cammino verso la piena realizzazione umana, tanto a livello personale che sociale; nell’educazione è conservato il tesoro che deve essere messo a disposizione, per fruttificare. L’apprendimento è il frutto dell’educazione, il risultato prezioso al quale tendere. Ma quali sono le dimensioni che connotano l’apprendimento desiderato? Il cap. 4 del Rapporto le indica con grande efficacia, considerandole i pilastri saldi sui quali si può costruire un’umanità migliore: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere[10].

a)      Imparare a conoscere, richiede di disporre di una conoscenza generale sufficientemente ampia, che possa però combinarsi  con la scelta di lavorare in profondità su un piccolo numero di materie. E’ la possibilità di approfondimento che permette di sviluppare la fondamentale competenza dell’imparare ad imparare, competenza che consente di trarre beneficio dalle opportunità offerte dall’educazione nel corso della vita.

b)      Imparare a fare, comporta non semplicemente l’acquisizione di specifiche abilità professionali, ma, ancor di più, la capacità di affrontare una molteplicità di situazioni problematiche. Nell’imparare a fare è implicita anche la capacità di lavorare in gruppo. Inoltre questa competenza si apprende meglio mettendola alla prova nel contesto delle varie esperienze sociali e di lavoro, che possono essere, oltre che formali, anche informali.

c)      Imparare a convivere, sviluppando comprensione degli altri e apprezzando, nel lavoro comune, l’interdipendenza (impegnandosi nella realizzazione di progetti comuni  e imparando a gestire i possibili conflitti che la negoziazione con gli altri comporta) in uno spirito di rispetto per i valori del pluralismo, della reciproca comprensione e della pace.

d)     Imparare a essere, cioè imparare a sviluppare integralmente se stessi, la propria personalità, i propri talenti. Diventare capaci di agire con autonomia di giudizio e sapendo assumersi le proprie responsabilità. Tutto il potenziale umano va preso in considerazione e mobilitato: memoria, ragionamento, senso estetico, capacità fisiche e attitudini comunicative.

 La concezione di apprendimento che il rapporto Delors ci consegna va ben al di là di quella  interpretazione riduzionistica e funzionalista che è presente nella cultura diffusa e che è veicolata anche da numerosi documenti internazionali. L’utopia di cui si fa carico –ma, più propriamente, l’orizzonte possibile e non scontato al quale tendere- è quello di un nuovo umanesimo. La visione che ispira il Rapporto manda in frantumi l’immagine semplicistica  e strumentale della relazione tra formazione scolastica e mondo economico, per cui l’economia pone le richieste e la scuola funziona se sa offrire risposte on demand. Una simile visione è accattivante, perché chiede alla scuola di essere il motore delle innovazioni tecnologiche e della competitività economica, e questo spinge i decisori politici a promuovere policy orientate in tal senso, attraverso riforme curricolari e, ancora di più, utilizzando forme di rilevazioni  nazionali e internazionali finalizzate quasi esclusivamente a misurare i risultati degli apprendimenti in relazione all’adeguatezza con il tipo di richieste che si immagina provengano dalla sfera economica.

 Il contributo delle teorie dell’apprendimento

A sostenere l’urgenza di cambiare il paradigma didattico trasmissivo non ci sono solo i cambiamenti intervenuti in campo economico. La ricerca educativa ci fornisce ragioni ancora più forti. Siamo debitori al pensiero di J. Piaget, H. Wallon,  L. Vygotskij, M. Montessori, Bruner …, solo per citare alcuni dei grandi studiosi che ci hanno aperto gli occhi sull’infanzia, sulla costruzione del pensiero, sullo sviluppo del linguaggio, ma la ricerca sull’apprendimento ha fatto molti passi in avanti. Recentemente è stato pubblicato un testo particolarmente significativo: The nature of learning, che esplora, da varie prospettive, la natura dell’apprendimento e le strategie educative che meglio possono corrispondervi.[11] Il lavoro, condotto a più mani da una equipe di studiosi di grande profilo, rappresenta una sorta di sintesi sullo stato dell’arte della ricerca educativa in tema di apprendimento (vengono prese in considerazione tematiche quali: il ruolo della motivazione e delle emozioni, l’apprendimento attraverso le tecnologie, le strategie della ricerca , del cooperative, del service learning, il ruolo della valutazione formativa, la comunità intesa come risorsa per l’apprendimento, l’influenza del contesto famigliare e sociale …).

Le indicazioni per la didattica che la ricerca sull’apprendimento mette a disposizione, e che chiedono di essere tradotte in maniera intelligente e ‘adattiva’ nei diversi contesti scolastici ci segnalano che:

  • La persona va messa al centro degli ambienti di apprendimento. Questo comporta la promozione di un coinvolgimento molto forte dello studente, che miri a farlo diventare autonomo nella gestione dei suoi processi di apprendimento e capace di riflettere sul suo lavoro, quindi con sviluppate competenze meta cognitive. Questo è possibile se cambia la posizione che l’insegnante assume, da “sage on the stage” a “guide on the side” (da “saggio sul palco” a “guida a fianco” dello studente).
  • L’apprendimento ha una natura sociale. L’aula non è un mero contenitore di singoli alunni, ma, almeno potenzialmente, un luogo di ricche interazioni sociali. L’apprendimento stesso ha una natura sociale e bisogna utilizzare tale caratteristica. Da qui l’importanza delle varie forme di apprendimento collaborativo e dello sviluppo di reti nelle quali siano possibili scambi e interazioni.
  • La motivazione e le emozioni hanno un ruolo molto importante. Se l’insegnate riconosce il ruolo che motivazione ed emozioni giocano nell’apprendimento dovrebbe cercare di entrare in sintonia con tale enorme potenziale, sempre disponibile. Non si richiede all’insegnante di essere ‘simpatico’, ‘amicone’ dei suoi allievi, ma di essere capace di ascolto, empatia, disponibilità a comprendere.
  • Le differenze individuali rappresentano la situazione normale di ogni classe. Le diversità rappresentano una sfida per l’insegnante, ma anche una grande opportunità. Del resto, se si mette al centro dell’ambiente di apprendimento l’alunno, la conseguenza logica è che si adottino strategie didattiche capaci di considerare le differenze individuali, sia per quanto riguarda la considerazione delle fragilità, dei punti deboli, sia per quanto riguarda le potenzialità di cui ciascun allievo dispone.
  • La Valutazione deve essere formativa. Gli alunni hanno bisogno di ricevere dall’insegnante continui feedback durante il loro percorso di apprendimento. La stessa valutazione va vista come occasione per favorire negli allievi una maggior consapevolezza circa le proprie acquisizioni e i punti di difficoltà e essere utilizzata , anche dall’insegnante, in funzione di una revisione del percorso e di una riprogettazione continua.
  • Va promossa la capacità di generare connessioni trasversali. Il richiamo è a superare i rigidi confini delle acquisizioni disciplinari. Un buon insegnamento promuove la capacità di creare collegamenti tra le diverse discipline e aree di conoscenze e di operare transfer..
  • L’apprendimento non ha solo un significato individuale ma sociale. Gli studenti che sanno mettere a disposizione degli altri quanto apprendono nella scuola, sperimentando forme di servizio alla comunità, apprendono meglio.

 

Le più accreditate ricerche sull’apprendimento forniscono, quindi, preziose indicazioni, che, se accolte, portano a ipotizzare un diverso modello di scuola, rinnovato tanto nel campo della didattica praticata quanto nella sua ambientazione organizzativa.

  Le linee guida di una didattica rinnovata rispondono a istanze quali la personalizzazione dell’apprendimento, la valorizzazione delle pratiche di aula come la ricerca e il lavorare per progetti, l’utilizzo consapevole delle tecnologie, il ricorso sistematico a forme di apprendimento collaborativo, l’enfasi sull’autoregolazione dell’apprendimento grazie alla promozione di forme di riflessività e di autovalutazione, lo stretto collegamento tra apprendimento scolastico e vita reale …

 

Rispetto a questi orientamenti il modello didattico della lezione frontale, ancora oggi prevalente, guarda nella direzione opposta e dà le spalle al futuro. I suoi elementi costitutivi, che sono dati dalla linearità della relazione insegnamento-apprendimento, dalla rigidità dei ruoli assegnati (l’insegnante trasmette sapere, l’alunno recepisce; l’insegnante verifica, l’alunno riproduce il sapere appreso), dall’ asimmetria radicale di colui che ‘sa’ e di colui che ‘non sa’ e che deve imparare, appaiono ormai inadeguati.

 

La relazione didattica come arte dell’incoraggiamento

L’esperienza diffusa ci fa vedere come molti docenti, anche notevolmente colti e perfino appassionati al loro lavoro, non riescono a trasmettere interesse per quanto insegnano e ottengono risultati spesso deludenti. Perché l’azione didattica risulti efficace non è sufficiente che l’insegnante conosca bene i contenuti del suo insegnamento; l’insegnamento è una professione complessa, che include tra le sue dimensioni, oltre alla conoscenza della materia, la competenza nella trasmissione dei contenuti, nel coinvolgimento degli alunni, nella formazione di abilità di indagine. Essere insegnanti efficaci significa  possedere adeguate modalità di mediazione e di relazione.

I metodi di insegnamento rappresentano, per eccellenza, le forme della mediazione, una mediazione che, è –insieme- scienza e arte, anzi, per dirla con il bel titolo di un libro ‘arte dell’incoraggiamento.’[12]

Ci sono due fondamentali aspetti che l’insegnante deve presidiare e padroneggiare, quello più squisitamente didattico, consistente nelle modalità di sollecitazione cognitiva e quello relazionale, che riguarda la qualità del rapporto, la motivazione al compito di apprendimento, la dimensione cooperativa del lavoro in aula. Saper insegnare comporta anche il saper incoraggiare, nel senso di sostenere gli alunni nell’impegnativo percorso della conquista dei significati. E’, questo, un compito così delicato e difficile, che viene considerato un’arte. Padroneggiare l’arte dell’incoraggiamento significa saper innescare “un processo di cooperazione tra insegnanti e allievi che mira a generare in questi ultimi uno stato d’animo positivo, di coraggio, rispetto alle possibilità di superare le diverse situazioni e raggiungere gli obiettivi preposti… L’esperienza di coraggio si configura come una strutturazione psichica complessa che dispone gli allievi ad agire in senso proattivo. Essa è il risultato di processi cognitivi tramite i quali la situazione da affrontare è valutata come superabile o quantomeno gestibile, valutazione che motiva la ricerca di soluzioni e l’assunzione di responsabilità.” [13]

La qualità  della relazione  tra gli insegnanti e gli alunni, ma anche quella che lega gli alunni tra loro, è centrale, tanto che la qualità delle relazioni che si intessono nell’ambiente di apprendimento, potrebbe essere proposta come criterio di valutazione della qualità della didattica. Ci sono, però, diversi modi d’intendere la relazione tra insegnare e apprendere.

a) Relazione lineare. Nella concezione lineare del rapporto didattico è presente l’idea che l’ apprendimento sia una sorta di variabile dipendente dell’azione didattica, il suo  esito previsto ed atteso, positivo o negativo in conseguenza di un buon o cattivo insegnamento.  L’insegnamento è centrato sui contenuti, il modello didattico corrispondente è la lezione verbale, nella quale si ha la trasmissione delle conoscenze attraverso la loro esposizione: l’alunno è il ricevente di un messaggio che viaggia sempre nella stessa direzione, a partire dall’insegnante, unico emittente. In questo modello l’ apprendimento è inteso come variabile dipendente del processo di istruzione, come esito previsto e atteso, in una logica appunto lineare.

 

b) Relazione circolare. Alternativa al modello lineare, la relazione didattica può essere pensata come comunicazione circolare: comunicazione, dunque, non semplice trasmissione. In tale prospettiva, che si configura come dialogica, l’insegnante non è semplicemente l’emittente che invia in forma unidirezionale informazioni, ma è egli stesso destinatario di comunicazioni che è l’alunno ad emettere, contribuendo a modificare l’impostazione che l’insegnante ha inizialmente dato. Nella relazione circolare l’insegnante vede trasformato il suo ruolo, si fa ascoltatore, è disponibile a prendere in considerazione quanto l’alunno gli rimanda, anzi ne sollecita la partecipazione, stimola gli interventi. Possiamo parlare di una didattica come comunicazione, e non come trasmissione, quando c’è circolarità, ascolto reciproco, flessibilità adattiva dell’itinerario di insegnamento..

 

L’esperienza diffusa ci fa vedere come molti docenti, anche notevolmente colti e perfino appassionati al loro lavoro, non riescono a trasmettere interesse per quanto insegnano e ottengono risultati spesso deludenti. Perché l’azione didattica risulti efficace non è sufficiente che l’insegnante conosca bene i contenuti del suo insegnamento; l’insegnamento è una professione complessa, che include tra le sue dimensioni, oltre alla conoscenza della materia, la competenza nella trasmissione dei contenuti, nel coinvolgimento degli alunni, nella formazione di abilità di indagine. Essere insegnanti efficaci significa  possedere adeguate modalità di mediazione e di relazione.

Ci sono due fondamentali aspetti che l’insegnante deve presidiare e padroneggiare, quello più squisitamente didattico, consistente nelle modalità di sollecitazione cognitiva e quello relazionale, che riguarda la qualità del rapporto, la motivazione al compito di apprendimento, la dimensione cooperativa del lavoro in aula. Saper insegnare comporta anche il saper incoraggiare, nel senso di sostenere gli alunni nell’impegnativo percorso della conquista dei significati. E’, questo, un compito così delicato e difficile, che viene considerato un’arte.

Nell’allestire una buona proposta didattica si richiede all’insegnante una duplice attenzione. Da un lato vi sono elementi di natura affettiva da considerare: gli allievi, al loro ingresso nella scuola, possono o meno esplicitare i loro desideri, aspettative,  bisogni,  che comunque rendono tipico e singolare l’approccio con il mondo scolastico; essi, d’altro lato, si caratterizzano anche per una dotazione di natura cognitiva: conoscenze, abilità e competenze pregresse costituiscono un patrimonio spesso ben radicato, con il quale l’offerta scolastica dovrà fare i conti. L’insegnante dovrà adoperarsi perché le aspettative di partenza evolvano in vera e propria “motivazione” e, contemporaneamente, perché le cognizioni in ingresso valgano al raggiungimento del “successo formativo”.

Le dimensioni dell’insegnante che possono favorire la riuscita dell’azione educativa e didattica sembrano, pertanto, essere l’accoglienza, intesa come capacità di riconoscimento e di valorizzazione del vissuto emozionale degli alunni, e la competenza didattica intesa come padronanza delle procedure di mediazione e di facilitazione dell’apprendimento.

La disponibilità di accoglienza e la competenza didattica si manifestano nella capacità di leggere le attese di superficie degli studenti in termini di bisogni profondi e di predisporre le risposte attraverso un’azione didattica non trasmissiva e unidirezionale, ma interpretata secondo le modalità del dialogo, come interazione costante tra oggetto e soggetto. In tale rapporto di circolarità tra azione d’insegnamento e processo di apprendimento, sembra consistere la “chiave” del successo formativo e, dunque, la qualità dell’offerta didattica.

Non è cosa facile prestare davvero attenzione alle richieste degli alunni, alle loro domande di senso, il più delle volte non manifestate esplicitamente, affidate a ‘tracce’ spesso poco percettibili. Non si tratta, semplicemente, di saper ‘interessare’ gli alunni, ma di motivarli in profondità. La curiosità è un ingrediente favorevole all’apprendimento, ma la motivazione ne è la radice profonda. L’insegnante che ‘ascolta’ si fa attento alla situazione concreta dell’alunno, alle competenze che dimostra, ma anche alle capacità che non sono ancora pienamente sviluppate o sono soltanto intuite, alle possibilità che chiedono un accompagnamento ed un sostegno educativo per tradursi in essere.

Una “buona” proposta formativa, e dunque una proposta significativa,  risulta da un processo d’insegnamento – apprendimento che, in quanto tale, si svolge su entrambi i versanti,  che del resto sono profondamente intrecciati,  promuovendo la circolarità  “virtuosa” tra motivazione e successo: alunni motivati più facilmente conseguono il successo formativo e, reciprocamente, il successo ha il potere di incrementare la motivazione. Esiste peraltro anche  la possibilità opposta:  esperienze negative, tali da produrre scoraggiamento e demotivazione, non solo non favoriscono la disponibilità all’apprendimento, ma possono addirittura alimentare una  circolarità  “viziosa”  tra demotivazione ed insuccesso scolastico.                                      

 

 

Per approfondire, dello stesso autore:

I. Fiorin, Insegnare ad apprendere, La Scuola, Brescia, 2014

I. Fiorin, Scuola accogliente, scuola competente, La Scuola, Brescia, 2012

I. Fiorin, Pensare la scuola, Tuttoscuola/Multidea, Roma, 2012

I. Fiorin, La buona scuola, La Scuola, Brescia, 2008


[1] MORIN E., La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000, p.15

[2] Il verbo insegnare deriva dal latino: in + signare, cioè tracciare dei segni, incidere con parole una tavoletta. Ma, andando oltre l’interpretazione letterale, incidere, in educazione, vuol dire lasciare una traccia importante in chi viene educato.

[3] PENNAC D., Come un romanzo, Feltrinelli, Milano, 2000, p.144.                       

[4] MORIN E., La testa …, cit., p.15.

[5] AA.VV., Apprendere e innovare, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 31.

[6] BENAVIDES F., DUMONT H., INSTANCE D., « Alla ricerca di contesti di apprendimento innovativi », in : AA.VV., Apprendere …, cit., p.47.

[7] MORIN E., La testa .., cit., p. 103.

[8] Cfr: DELORS J., Learning: the treasure within, UNESCO, Paris 1996.

[9] Ivi, p. 11.

[10] Il cap.4 del citato Rapporto è titolato: “The four pillars of education”. 

[11] H. Duman, D. Instance,  F. Benavides, The Nature of Learning. Using Research to Inspire Practice, OCSE, Paris, 2010 

 

[12] Cfr.:H. Franta, R. Colasanti, L’arte dell’incoraggiamento,  La Nuova Italia, Firenze 1991.

[13]  H. Franta, R. Colasanti, L’arte…,cit., p.208.