Dottorato di ricerca: evitare derive economicistiche

Una accurata ricostruzione storica del dottorato di ricerca, dalla sua prima istituzione in Italia (1980) a oggi, è contenuta nel recente saggio di Carlo Cappa, ricercatore dell’università di Roma Tor Vergata, “Il dottorato di ricerca nello spazio europeo. Quale conoscenza per la società di oggi e di domani?” (Anicia, Roma, 2016).

Il volume, corredato da una documentazione attentamente selezionata, che giunge fino alla vigilia delle ‘Linee guida’ firmate la scorsa settimana dalla ministra Fedeli, dà conto nella sua prima parte della evoluzione del dottorato nei suoi trentasei anni di vita facendo riferimento non solo a quanto avvenuto in Italia sotto il profilo normativo, con le novità via via introdotte dal Parlamento e da alcuni ministri particolarmente impegnati sulla tematica dell’istruzione superiore e della ricerca (da Antonio Ruberti a Luigi Berlinguer), ma ricostruendo con cura la trama delle interazioni culturali tra le esperienze di ricerca dottorale italiane e le sollecitazioni provenienti dall’estero, in particolare dall’Europa.

Ma è soprattutto nella seconda parte del volume, quella dedicata all’analisi delle ‘variabili’ del dottorato (ricerca, spendibilità del titolo, internazionalizzazione, valutazione, governance) che prende corpo la riflessione di Cappa sul ruolo che nella società contemporanea spetta (o meglio dovrebbe spettare) all’istruzione superiore e alla ricerca avanzata non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo.

La tesi dell’autore è che in Europa, e in particolare in Italia, occorre salvaguardare l’autonomia critica della ricerca, frutto di una secolare se non millenaria eredità culturale incentrata sulla libera elaborazione teorica, dalle insidie di un presentismo dominato da “mere coordinate economicistiche o sociologiche” (p. 68), e da un efficientismo “di stampo manageriale” (ivi) ma di corto respiro perché privo di radici culturali, di quello spessore storico-critico che può essere dato solo dalla riflessione sul passato e da una “radicale interrogazione di esso”, unico vero antidoto “a ogni semplicistica riduzione della ricchezza propria dell’istruzione superiore” (p. 126). A maggior ragione quando ci si occupa di questioni educative e formative.