Dispersione scolastica: Italia agli ultimi posti in Europa per numero di abbandoni

L’Italia si conferma terz’ultima per il numero di alunni che lascia la scuola prima dei 16 anni. Ad affermarlo è la Corte dei Conti con la relazione su “La lotta alla dispersione scolastica: risorse e azioni intraprese per contrastare il fenomeno”, pubblicata in queste ore con deliberazione n. 14/2019/G. Ad influire sul triste fenomeno della dispersione scolastica ci sono fattori come arretratezza culturale e strutturale, ma anche la rigidità della didattica. Povertà e competenze scolastiche acquisite siano due fattori direttamente proporzionali. Una relazione, quella della Corte dei Conti, che arriva proprio a distanza dalla pubblicazione dei dati del MIUR sull’abbandono scolastico che raccontano come la dispersione scolastica sia un fenomeno in calo. In calo sì, ma pur sempre preoccupante: secondo il dossier”La scuola colabrodo” di Tuttoscuola citato anche all’interno della relazione della Corte dei Conti, infatti, dal 1995 a oggi la scuola italiana ha perso oltre 3 milioni e mezzo di studenti. In pratica, è come se fosse sparita un’intera città.

Dispersione scolastica: Italia rischia di aumentare disparità su diritto all’istruzione

Stando alla relazione pubblicata dalla Corte dei Conti, in Italia la dispersione scolastica raggiunge percentuali elevate soprattutto nel meridione. Si configura, quindi, come un fenomeno complesso e pluridimensionale, al confine con altre forme di disagio, come quello psicologico, adolescenziale e sociale. La numerosità e l’interdipendenza di questi fattori rende difficile l’individuazione di specifiche azioni correttive, anche se la politica strategica europea ha già indicato tre direttrici fondamentali in materia: di prevenzione, di interventi e di misure di compensazione. Senza una visione organica traducibile nella formulazione di un Piano strategico nazionale contro la dispersione scolastica, la scuola italiana rischia non solo di mancare l’obiettivo indicato a livello europeo di riduzione del 10% degli abbandoni, ma anche di aumentare sul suo territorio le disparità sul diritto all’istruzione.

Dispersione scolastica: cosa fare per contrastarla

Per contrastare il fenomeno della dispersione scolastica, la Corte dei Conti afferma che andrebbero sviluppate strategie che consentano di intercettare il disagio, e che riescano a rimotivare lo studente con percorsi di istruzione basati sull’esperienza dell’apprendimento e non sul contenuto (ciò che si deve insegnare). Attivarsi in questo senso non sarebebe utile a prevenire la dispersione scolastica, ma anche l’insuccesso nei percorsi superiori (vedi università) migliorando sensibilmente la capacità di ingresso nel mondo del lavoro.

Dispersione scolastica: ripartiamo dall’assunzione delle responsabilità

Da dove partire? Prima di tutto, come ribadito anche all’interno del dossier di Tuttoscuola “La scuola colabrodo”, bisogna prendere consapevolezza dell’entità del fenomeno e delle sue conseguenze multisettoriali e multilivello. Poi occorre una piena assunzione di responsabilità, che sono individuali e collettive: dagli insegnanti ai dirigenti scolastici, dalle famiglie agli enti territoriali, dal Ministero dell’istruzione a tutto il Governo, dalle fondazioni ai corpi intermedi, dalle imprese al Terzo settore alle parrocchie. L’educazione è compito dell’intera società, non è delegabile in toto a una singola agenzia. La scuola non può essere lasciata sola.

La bocciatura andrebbe poi riservata a chi rifiuta di impegnarsi nello studio a prescindere dai talenti, a chi non rispetta la disciplina, insomma a chi può essere veramente “utile” come lezione. Infliggerla a chi fa comunque il proprio meglio, poco o tanto che sia, può servire solo a stroncarne le potenzialità latenti. Anche così si spiegano gli oltre due milioni di neet, che non ci possiamo più permettere. Il confine tra scartare ciò che non è “a norma” e ricavare il massimo possibile – che è un principio di saggezza – può essere molto sottile, l’uno si adatta meglio alle cose, l’altro alle persone. 

Servirebbero molte risorse, non c’è dubbio. Ma a ben vedere basterebbe mantenere l’incidenza della spesa per l’istruzione sul totale della spesa pubblica ai livelli attuali, invece di continuare ad abbassarla, come si prevede nei documenti di programmazione finanziaria. La “riduzione di taglia” a cui è avviato il sistema formativo italiano per effetto del calo demografico offre questa opportunità. La produttività e il ritorno sul maggiore investimento di un sistema scolastico che riuscisse a lavorare in positivo sul 100% o quasi dei suoi iscritti sarebbe superiore a uno che ne perde il 25% per strada, considerati anche i maggiori costi economici e sociali che il Paese si trova a sopportare per il loro successivo inserimento nel lavoro e nella vita civile. Andrebbe convertita quella spesa nascosta di mancata educazione che sosteniamo in sussidi sociali, oneri per sicurezza e sanità, in maggiori investi- menti per l’istruzione. Prevenire è meglio che curare. 

Per mettere a frutto l’investimento, il sistema formativo andrebbe radicalmente cambiato all’insegna di un nuovo “patto”: più risorse sì (per le scuole, per gli insegnanti, per il tempo scuola, per l’orientamento, etc), ma anche più servizi per le famiglie, più competenza per salire in cattedra (lì bisogna essere realmente selettivi, perché è un lavoro sempre più difficile, da super-professionisti dell’educazione), maggiore efficienza e pubblica rendicontazione.

Ridurre la dispersione scolastica a livelli fisiologici si può. Ci sono paesi che l’hanno ridotta a 3-4 punti per i diciottenni, e l’hanno azzerata per i quindicenni: è il caso della Corea, del Giappone e della Norvegia, come mostrano i dati Ocse-Pisa. Usano strategie diverse. Serve un piano pluriennale che ammoderni questa grande infrastruttura della conoscenza come quello che servirebbe per le infrastrutture fisiche, con soluzioni a geografia e geometria variabile. Per realizzarlo ci vorrebbe un consenso trasversale e bipartisan, anche perché i risultati non potranno essere raccolti nel breve periodo da chi avrà il coraggio e la lungimiranza di lanciarlo.