Dati Eurostat: l’università italiana non garantisce occupazione

Commenti preoccupati all’indomani della diffusione dei dati Eurostat, relativi alle percentuali di occupazione dei laureati e dei diplomati nei 28 Paesi membri, che collocano l’Italia in una posizione critica: penultimi in classifica, in vantaggio solo sulla Grecia, siamo quasi il fanalino di coda in un’Europa che i dati mostrano, invece, in forte fermento.

Per Mario Panizza,  rettore dell’Università degli Studi Roma Tre, “I dati sono ancor più preoccupanti se si considera contestualmente sia il dato dell’occupazione dei laureati (il 52,9% trova lavoro entro tre anni, contro l’80,5% della media europea) sia che l’Italia è all’ultimo posto in graduatoria nella percentuale di giovani laureati (nella fascia tra i 30 e i 34 anni gli italiani hanno la maglia nera per l’educazione terziaria con appena il 23,9% di laureati a fronte del 37,9% della media Ue). Insomma, i laureati che lavorano entro i tre anni sono una minoranza della minoranza dei giovani che si laureano“.

Per porre rimedio occorre che le Università promuovano cambiamento, valorizzando anche “i corsi di laurea triennale con chiari sbocchi lavorativi e una preparazione immediatamente professionalizzante“.

Pertanto “Roma Tre ritiene strategica un’inevitabile revisione delle forme tradizionali della didattica universitaria, sia nei contenuti sia nei metodi, che permetta – conclude Panizza – non solo di portare ad alto livello l’istruzione professionale superiore, ma anche di rispondere concretamente alla domanda proveniente dal territorio e dai contesti socio-economici e culturali in cui l’ateneo stesso è inserito. Rafforzare il collegamento tra formazione e mondo del lavoro, coinvolgendo sempre più gli stakeholder, può essere il primo passo per far uscire dalle secche della crisi il mondo accademico italiano“.

Verrebbe da dire: meglio tardi che mai, visto che le maggiori resistenze alla creazione di un forte sistema di formazione tecnico-professionale superiore (interno e –soprattutto- esterno, parallelo all’università) sono arrivate finora sempre dallo stesso mondo accademico italiano. Vedremo se alle parole seguiranno fatti concreti.