DAD. Primi bilanci

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Il lockdown delle scuole è stato annunciato in Italia il 9 marzo 2020, prorogato il 9 aprile fino al 3 maggio, e poi ulteriormente prorogato fino alla fine dell’anno scolastico. Così la DaD, nata come misura contingente e straordinaria, si è estesa nel tempo fino a diventare un’alternativa globale alla didattica in presenza (DiP). A distanza di ormai quasi tre mesi cominciano perciò ad apparire articoli e saggi che fanno un primo bilancio dell’esperienza.

Tuttoscuola ha pubblicato nelle scorse settimane, a partire dal 15 maggio, alcuni articoli di Roberto Franchini (il primo si può leggere qui), che vede nella DaD un’occasione per ridefinire complessivamente spazi, tempi e modi dell’apprendimento nella prospettiva della compiuta digitalizzazione dei processi formativi, e riflessioni sulla necessità di alleggerire ed essenzializzare i curricula degli studenti, personalizzandoli con l’aiuto delle tecnologie.

In un’ottica positiva e propositiva che va nella stessa direzione si muove l’articolo di Carlo Giovannella, docente di tecnologie didattiche all’università di Roma Tor Vergata, pubblicato su agendadigitale.it dello scorso 25 maggio, a cui giudizio “La completa restaurazione dei processi educativi nella forma pre-covid comporterebbe un dramma nel dramma, perché ci farebbe perdere la più grande occasione di crescita che ci è stata offerta negli ultimi decenni, seppure al prezzo di una tragedia”.

Un altro contributo, di taglio più critico e problematico, viene da altri tre ricercatori di Tor Vergata, Carlo Cappa, docente di Pedagogia, Alessio Ceccherelli, docente di Tecnologie didattiche, e Angela Spinelli, docente di Didattica generale, i cui saggi compaiono nel numero 1/2020 della rivista “I problemi della pedagogia” (Anicia editore).

Da tre punti di vista diversi – più storico-culturale quello di Cappa, più centrato sulla analisi della comunicazione mass-mediatica quello di Ceccherelli, più focalizzato sulla dimensione pedagogica quello della Spinelli – i tre studiosi giungono a conclusioni abbastanza convergenti: la DaD, tolti alcuni casi di eccellenza, e malgrado la sorprendente e inattesa capacità di adattamento mostrata dalla maggioranza dei docenti, ha messo in luce un forte aumento delle disuguaglianze negli esiti scolastici, dovuto a cause strutturali (soprattutto l’inadeguatezza delle connessioni in rete), sociali (le maggiori difficoltà delle famiglie più povere o meno acculturate, soprattutto al Sud), professionali (la tendenza di molti insegnanti a replicare a distanza lo stesso approccio trasmissivo utilizzato in presenza). Ma sull’aumento delle disuguaglianze, è la conclusione convergente dei tre saggi, ha influito soprattutto il venir meno del rapporto diretto, della interazione tra docenti e alunni, e degli alunni tra di loro, che solo la DiP può assicurare.

La lezione che si ricava dalla didattica di emergenza (più che a distanza) di questi mesi non è però quella di tornare allo status quo ante Coronavirus, tornando all’esclusività della DiP. In molte delle esperienze realizzate l’apporto delle tecnologie a una didattica caratterizzata da maggiore flessibilità e capacità di adattamento agli stili di apprendimento individuali è apparso decisivo. La prospettiva è quella di una didattica mista, che si avvalga in misura crescente delle tecnologie digitali (possibilmente in presenza), che si rivolga a gruppi di alunni anziché a classi intere, che superi in ogni caso l’approccio frontale, valorizzando gli aspetti migliori della didattica in presenza – soprattutto i rapporti interpersonali – e che sappia infine istituire quella speciale relazione educativa che, al di là di ogni riduzionismo uniformizzante, si ispiri, come scrive Cappa, a una “complessità che solo nella singolarità individuale trova l’elemento che possa davvero dar corpo a un’impresa che non nasce e non finisce nelle aule scolastiche”.