Corresponsabilità educativa, Lozupone: ‘Insegnanti vorrebbero collaborare con le famiglie’

Interessanti esiti di una ricerca sul campo

Troppo spesso sentiamo parlare di casi di bullismo e di violenza all’interno delle scuole. A volte le vittime sono gli studenti, altre gli insegnanti che vengono messi al muro (verbalmente e fisicamente) non solo dai ragazzi, ma anche dai loro genitori. Tutti segnali, questi, di un’alleanza educativa che si sta sfaldando. Eppure i docenti vorrebbero collaborare con le famiglie nel compito di educare bambini e ragazzi. A raccontarlo a Tuttoscuola è la professoressa Elvira Lozupone, dell’Università Tor Vergata di Roma.

Professoressa, nel febbraio 2018 Tuttoscuola ha pubblicato un suo articolo in cui si annunciava la partenza di una ricerca sul campo sul tema della corresponsabilità educativa (CE) in ordine al contrasto di bullismo ed emarginazioni. Che esiti ha avuto la ricerca?

«Apparentemente fallimentari: il campione stratificato, che riproduceva esattamente la distribuzione di scuole dalla primaria alla secondaria di primo grado sul territorio nazionale, ha permesso l’invio del questionario a 1029 scuole. Ma abbiamo ottenuto solo 87 risposte individuali».

Quali sono a suo avviso le ragioni di questo fallimento?

«Stante la correttezza metodologica e di invio, le ragioni possono essere molteplici. Tra queste, in primo luogo, la mancata abitudine al dialogo tra scuola e università e il carente riconoscimento reciproco.
Una mia indagine informale, inoltre, ha evidenziato tra le ragioni possibili il proliferare di questionari di ogni tipo inviati dal Ministero che soffocano la dirigenza e gli insegnanti, e portano a scartare i questionari giudicati non importanti/urgenti. Una campagna di promozione della ricerca e il patrocinio del ministero avrebbero forse favorito la partecipazione dei dirigenti.
È emersa infine la preoccupazione dei dirigenti di salvaguardare l’immagine della scuola; più in generale una certa ritrosia rispetto a tematiche sensibili, quasi a temere una uscita dall’anonimato».

Perché è importante parlarne?

«Perché l’Università non è un luogo distante dalle persone; perché attraverso la reciproca stima e vie di collaborazione si possono fare cose molto buone; perché come dice la senatrice Iori si tratta dei ‘figli di tutti’».

I risultati quindi non sono generalizzabili, ma che cosa è emerso dall’indagine?

«Che attualmente, nella percezione dei docenti, il concetto di corresponsabilità educativa comprende categorie come rispetto, sanzione, titolarità che sono categorie normative e formali; se però si approfondisce come abbiamo fatto noi ne emergono altre come  mediazione, sinergia, premialità: categorie di cura e relazionali proprie di un’organizzazione orientata ad una leadership attenta alle relazioni e ‘di servizio’ che denotano un desiderio di procedere di pari passo, una convergenza di intenti, una ricerca orientata ad un bene comune. Gli insegnanti hanno una dimensione desiderante in questo senso: vogliono collaborare con le famiglie nel compito educativo».

E le famiglie?

«I richiami alla cooperazione e collaborazione con le famiglie vanno di pari passo con lo sfaldamento sociale e il radicarsi di povertà anche educativa, prodotta dai cambiamenti socio economici. La loro efficacia è modesta anche a causa del distanziamento dell’istituzione scolastica dalle famiglie, relegate ad una partecipazione meramente funzionale alla soddisfazione di esigenze di basso profilo (fornitura di materiali di consumo giornaliero) che ne avviliscono il ruolo educativo nella scuola e di fatto le allontanano da quella che dovrebbe essere una effettiva partecipazione attiva. Le famiglie affrontano cambiamenti sostanziali in una condizione di gravi incertezze educative e insicurezze. Tra le costruzioni fantasmatiche ricorrenti che la famiglia riversa sull’esperienza scolastica del figlio va richiamata la proiezione dell’esperienza scolastica dei genitori su quella del figlio, che contribuisce alla coloritura di questa relazione: quando la memoria dell’esperienza genitoriale viene richiamata in vita dalle sanzioni e/o dagli insuccessi dei figli si riaprono ferite antiche che innescano rabbia, causando reazioni del tutto sproporzionate».

Anche nella scuola però le cose non vanno meglio…

«L’avvento di una strutturazione organizzativa scolastica secondo i principi della managerialità aziendale, frutto del neo liberismo economico, ha introdotto nella scuola e in tutta l’istruzione un’attenzione esasperata ai processi, ai risultati, al raggiungimento degli obiettivi, alla valutazione, alla qualità, trasformando i fruitori del servizio scolastico in consumatori e clienti, e aumentando non solo la competitività tra istituti scolastici, ma il divario di status tra le famiglie che possono permettersi di comprendere, ad esempio, l’adeguamento europeo ai sistemi di valutazione e quelle che non lo comprendono e ne accettano passivamente, o ne percepiscono unicamente, l’elemento competitivo considerandolo in qualche modo predittivo del futuro successo sociale del proprio figlio; con questa visione,  i fallimenti scatenano aggressività e rabbia nei genitori, che vedono venir meno la possibilità di riscatto sociale ed economico dei figli».

Questo quadro non lascia molte speranze…

«Al contrario può essere un’opportunità se si passa dal considerare la corresponsabilità educativa così come la si intende oggi alla programmazione di momenti di transizione che focalizzino il tema del partenariato tra scuola e famiglia».

Solo una questione terminologica?

«No. L’etimologia ci aiuta e racchiude significati attuabili nella pratica formativa quotidiana perché il termine part-ner-ship racchiude una radice di divisione, opposizione, con nucleo predittivo di negoziazione a partire dal riconoscimento reciproco. Quando questo riconoscimento manca, si assiste al proliferare di aggressività, irrispettosità, maldicenza, violenza, esclusione. In questo contesto così variegato ed esteso le sanzioni curano forse il sintomo, non la causa. La ricerca sembra aprire però un altro orizzonte».

Dunque ci sono speranze?

«Io credo di sì: il lavoro deve coinvolgere anche il livello centrale. Non si compongono i rapporti tra scuola e famiglia attraverso un dettato normativo; le sanzioni non bastano a cambiare la qualità delle relazioni. La corresponsabilità è un punto di arrivo. È necessario stimolare le scuole a far collaborare le famiglie alla stesura del patto di corresponsabilità attraverso attività formative dove venga valorizzato il riconoscimento reciproco e i saperi familiari».