Classifiche Università: per l’Italia panorama piatto, con punte di eccellenza

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La posizione in una classifica generale multifattoriale come quella elaborata dal QS World University Rankings dipende dal diverso peso degli indicatori utilizzati: quelli scelti da QS (organizzazione lanciata nel 2004 da un giornalista inglese, vicedirettore del Times Educational Supplement), privilegiano la reputazione accademica, che valuta il riconoscimento di un ateneo nella comunità scientifica internazionale (40%) e il rapporto (Ratio) docenti/studenti (20%); segue il numero delle citazioni, che misura l’impatto della produzione scientifica dei ricercatori delle singole sedi (20%); poi la reputazione presso i datori di lavoro, chiamati a giudicare la qualità dei laureati usciti dalle varie università (10%); il grado di internazionalizzazione del corpo docente (5%) e il grado di internazionalizzazione degli studenti (5%).

C’è da considerare il fatto che il peso delle prime due voci, insieme alla reputazione presso i datori di lavoro, tende a favorire le università più ricche e più collegate con il mondo delle imprese, come non avviene nel caso delle università italiane.

Ben Sowter, responsabile della ricerca per QS, così commenta il ribadito primato del MIT: “è il nucleo di un ecosistema innovativo senza rivali. Start-up create dagli alumni producono cumulativamente ricavi per oltre 2 trilioni di dollari, rendendo questa realtà l’equivalente dell’undicesima economia al mondo”.

Esaminando i singoli indicatori comunque le posizioni in graduatoria cambiano: per l’impatto della produzione scientifica la Scuola Normale Superiore è diciottesima e la Scuola Superiore Sant’Anna ventisettesima. Nella reputazione accademica (75.000 accademici consultati) l’Università di Bologna occupa il settantasettesimo posto, seguita dalla Sapienza di Roma (posto n. 86), che nella classifica generale non compare tra le migliori 200. In base alla reputazione dei datori di lavoro la Bocconi di Milano, egualmente esclusa dalle prime 200, occupa il posto numero 30, e il Politecnico di Milano il posto 53. 

Punte di eccellenza settoriale in un panorama che – con tutte le doverose riserve su un ranking che favorisce in modo evidente le università anglosassoni – non può essere considerato complessivamente soddisfacente per il mondo accademico italiano.