Concorso, i presunti limiti della legge e lo spettro dei ricorsi

Il comma 114 della legge 107/15 prevede che per i concorsi appena banditi sono valorizzati, fra i titoli valutabili in termini di maggiore punteggio:

“b) il servizio prestato a tempo determinato, per un periodo continuativo non inferiore a centottanta giorni, nelle istituzioni scolastiche ed educative di ogni ordine e grado”.

Il decreto n. 94 che accompagna i bandi del concorso ha precisato però che il servizio di insegnamento deve essere prestato sullo specifico posto o classe di concorso per cui si procede alla valutazione, nelle scuole statali o paritarie di ogni ordine e grado, nelle istituzioni convittuali statali e nei percorsi di formazione professionale.

Non valgono, quindi, i mix di servizi prestati in ordini di scuola diversi.

Inoltre il decreto specifica che il servizio è valutato come anno scolastico per un periodo continuativo non inferiore a 180 giorni per ciascun anno scolastico.

Rispetto alla genericità della norma, il decreto restringe il campo di applicazione con motivazioni logiche (corrispondenza tra tipo di concorso scelto e tipo di supplenza prestata) e, circa la continuità del servizio prestato per almeno 180 giorni cerca di corrispondere alle indicazioni venute dalla nota sentenza della Corte di giustizia.

È di diverso parere l’Anief che sostiene la tesi secondo cui “I candidati che partecipano al concorso a cattedra devono vedersi valutato tutto il servizio di precariato: anche quello prestato per 180 giorni non consecutivi in scuole paritarie o su posti di sostegno agli alunni disabili”. E annuncia l’ennesimo ricorso.

Intanto, a quanto sembra, le domande di concorso non accolte per mancanza dei requisiti richiesti (in primis l’abilitazione) vengono inviate in formato cartaceo per costituire probabilmente la base per ricorsi in massa. Un concorso, insomma, che non avrà vita facile.