Fassina: ecco il conto

Stefano Fassina, leader emergente della sinistra Pd, non ha peli sulla lingua, e mette nero su bianco le condizioni – del tipo prendere o lasciare – alle quali l’ala ultrabersaniana del partito sarebbe disposta a far passare la legge al Senato. “Il Governo dia parere favorevole agli emendamenti presentati da alcuni senatori Pd in Commissione Cultura per cancellare il potere dei presidi di chiamare e rimuovere i docenti, per introdurre un piano pluriennale per l’assunzione degli insegnanti precari, per correggere il finanziamento delle scuole secondarie private“.

Il ragionamento di Fassina è tutto politico: “Ricordi il Segretario del Pd che la lealtà di chi rappresenta il Pd in Parlamento va innanzitutto al programma sul quale è stato eletto“. Che era quello di Bersani del 2013, fa chiaramente capire, e non quello di Renzi del 2014, proposte sulla scuola in testa.

Il parlamentare, che non da ora fa dipendere la sua permanenza nelle file del Pd dall’esito dello scontro sulla ‘Buona Scuola’, scrive che “chi non ha condiviso le svolte liberiste e plebiscitarie del Governo non ha cercato di affermare il ‘suo interesse personale’ ma l’interesse di quella larga parte di popolo democratico che alle elezioni di domenica scorsa è rimasta a casa o ha scelto altri partiti“.

Insomma: o Renzi passa sotto le forche caudine degli emendamenti della sinistra Pd e recupera il rapporto con “chi è rimasto a casa” oppure sarà lui, Fassina, e chi la pensa come lui, ad andare a cercare l’elettorato perduto, ma – evidentemente – fuori del Pd, in un altro soggetto politico che si ponga in continuità con la linea tradizionale del PCI-PDS-DS-PD bersaniano che sulla scuola – con la vistosa anomalia berlingueriana (nel senso di Luigi) – ha sempre tenuto una linea statalista e contraria ad ogni ipotesi di pluralismo “delle” istituzioni, oltre che “nelle” istituzioni.