Bauman, quale scuola nella ‘società liquida’

Zygmunt Bauman, uno degli intellettuali più autorevoli e più influenti del nostro tempo, è morto lo scorso 9 gennaio 2017, a novantun anni, dopo una vita di impegno politico e culturale, di resistenza ad ogni tipo di conformismo, di originale ricerca sulle caratteristiche della società moderna e soprattutto post-moderna.

Come sociologo e analista politico Bauman, ebreo polacco naturalizzato inglese sfuggito alla Shoah e alle censure dei regimi comunisti sovietico e polacco, ha acquistato vasta notorietà per aver teorizzato il passaggio dalla modernità solida, basata su legami nazionali e territoriali saldi e duraturi, alla modernità o postmodernità liquida, nella quale tali legami diventano instabili e deboli.

La postmodernità liquida è a suo giudizio il risultato inevitabile della globalizzazione, delle migrazioni, della multiculturalità, dell’esplosione di internet e delle reti virtuali. Il paradigma per comprenderla è quello della complessità (ad analoga conclusione perviene Edgar Morin), che fa riferimento a una realtà materiale e sociale nella quale intervengono il caso, la sorpresa, la contraddizione, il disordine, e viene esaltata la soggettività.

Bauman, che si è molto occupato di educazione, alla quale ha dedicato libri e saggi, ha applicato il suo paradigma interpretativo anche alla scuola. Al tempo della modernità solida e degli Stati nazionali la finalità della scuola si era concentrata soprattutto sulla trasmissione del patrimonio culturale e valoriale nazionale e sulla costruzione dell’identità nazionale assicurata dai sistemi scolastici formali, istituzioni governate da grandi apparati burocratici, rigidi e autoreferenziali, portatori e garanti di un modello culturale statico, considerato e percepito come oggettivo.

Una finalità venuta meno con la transizione alla società postmoderna, nella quale il modello culturale oggettivo e solido che aveva caratterizzato l’età della modernità entra in crisi e si dissolve perché viene sostituito da un modello (o forse un ‘non modello’) dinamico, cangiante, liquido, frutto del confronto anche conflittuale tra più culture e della ibridazione tra di esse: risultato inevitabile della globalizzazione, dei grandi fenomeni migratori, del multiculturalismo e di uno sviluppo socio-economico che dà sempre più spazio agli individui come consumatori anziché come produttori, dunque alla loro soggettività.

Quale modello educativo si può proporre in società come quelle postmoderne che hanno perso i loro riferimenti identitari, le certezze delle loro tradizioni culturali nazionali (ma nelle quali insorgono, come rilevato da Bauman, pericolose pulsioni nazional-populiste, conservatrici e xenofobe)?

Una cosa sembra indiscutibile: i giovani delle ultime generazioni, in particolare i nativi digitali del XXI secolo, non possono accettare né adattarsi alle finalità e ai modelli organizzativi della scuola-apparato del XX secolo: dalla rigidità delle scansioni temporali (orario scolastico fisso, lezioni di durata prefissata, distribuzione per classi di età) a quella della didattica, con standard uguali per tutti, lezioni frontali, compiti e prove non personalizzate. Il tutto all’interno di edifici con spazi rigidamente predeterminati, sul modello della fabbrica tradizionale.

Quale modello educativo si può dunque proporre ai giovani del nostro tempo? Bauman non suggerisce un modello (si porrebbe in qualche modo in contraddizione con la sua tesi sulla ‘liquidità’, cioè sulla provvisorietà e mutevolezza della società postmoderna), ma un metodo può essere certamente inferito partendo dalle sue riflessioni sulla centralità dell’individuo nella società postmoderna e sul ruolo delle scienze sociali che ne studiano l’identità: “Il compito della sociologia è venire in aiuto dell’individuo. Dobbiamo porci a servizio della libertà”.

Anche la scuola della società liquida deve darsi un compito analogo. Questo è il messaggio, il monito   che ci lascia Bauman: la scuola non può (più) essere concepita e vissuta come luogo del ‘disciplinamento’ delle nuove generazioni, per usare una espressione recentemente impiegata da Galli della Loggia, ma come ambiente finalizzato alla formazione critica dei cittadini, che è la garanzia della loro libertà.