ASL? Ma vai a lavorare…!

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una vivace riflessione della prof.sa Silvia Parigi, dirigente scolastico del liceo “Comenio” di Napoli, sull’introduzione obbligatoria dell’alternanza scuola-lavoro nei licei, prevista dalla legge 107/2015. Una decisione sulla quale esistono valutazioni diverse e divergenti, che meritano confronto e approfondimento. Invitiamo perciò altri lettori interessati a intervenire sul tema, o a offrire nuovi spunti di dibattito, a scriverci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

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Appello per la difesa dell’ora di lezione

Capita, a volte, di sentirsi come Antigone: dolorosamente combattuti e sospesi tra la doverosa obbedienza alle leggi dello stato e l’altrettanto doverosa difesa di ciò in cui si crede. Un dovere che è anche un’esigenza di amore, prepotente e incoercibile.

Nel testo – per altri aspetti apprezzabile – della legge sulla “Buona scuola”, in poche righe si assesta un colpo, sotto la cui potenza – evidentemente sottovalutata dal legislatore, o sfuggita alle sue intenzioni – la “buona” scuola – quella fatta dai “buoni” insegnanti – rischia di stramazzare.

Si tratta della cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, il cui mirabile acronimo – ASL – dice più di ogni discorso.

In poche righe, viene disconosciuta ai licei una specificità – rispetto agli istituti tecnici e professionali – che ne costituisce insieme la ragione e l’essenza: la natura contemplativa del sapere, l’otium come sinonimo di scholè, la natura rarefatta, non bulimica, di quella cultura che dovrebbe muovere da, e formare a, un’elevata concezione della prassi.

“Ci sono le risorse – si sente dire – dunque offriamo ai nostri ragazzi preziose occasioni per acquisire competenze – che una didattica svincolata da qualunque sapere, epistemologico e tout court, vorrebbe separare dalle antiche e retrive “conoscenze”– nel mondo del lavoro!”.

Quale sia il lavoro che classi intere di sedicenni – centinaia di studenti in ogni liceo – dovrebbero “alternare” allo studio, in classe o a casa, è lasciato all’inventiva, alle capacità di immaginazione dei singoli dirigenti e dei docenti più volenterosi. Musei per i cultori delle lettere classiche? Agenzie di viaggio per gli amanti delle lingue moderne? Ludoteche per gli studenti di Scienze Umane? Va bene tutto, purché si riempia quel tempo che un numero – ancora per fortuna cospicuo – di professori, studenti e dirigenti vorrebbe dedicare alle lezioni, forte della convinzione che nessun progetto, nessuna attività, nessun “approfondimento” possa servire, laddove la formazione manchi.

Siamo ormai costretti a difendere l’ora di lezione, a chiedere curricula lineari, che salvaguardino l’unicità e la ricchezza insostituibile del rapporto didattico, nella irriducibile specificità degli indirizzi di studio; siamo costretti a rivendicare la semplicità di un dialogo educativo, che si svolga nella continuità e nella serenità di un tempo finalmente riguadagnato e utilmente impiegato.

Risparmiamo, dunque, quelle “risorse”, da spendere per i “tutor” scolastici e aziendali, e destiniamole invece ai protagonisti autentici della “buona scuola”: quegli insegnanti colti, che amano fare lezione perché vogliono il bene dei ragazzi; quello stesso bene che hanno contemplato e conosciuto, e che li spinge ogni giorno a ben operare.

Silvia Parigi, D.S. del liceo “Comenio” di Napoli