Anche agli insegnanti il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, una proposta che ha portato molti consensi al M5S specialmente nelle regioni meridionali dove la disoccupazione e la povertà sono largamente diffuse, è stato inserito dal nuovo governo nella manovra finanziaria per il 2019, anche se a partire dalla primavera prossima.

C’è chi spera che prima di quella data molte cose cambino, magari per questioni di compatibilità finanziaria, e che quindi tutto torni in discussione. Gli oppositori lo ritengono infatti un provvedimento assistenziale, mentre i proponenti, sebbene serva da contrasto alla povertà, ne vogliono fare uno strumento di politica attiva del lavoro.

Su questo terreno si scontra con il renziano Job Act, che il nuovo governo dice di voler superare, ma pur cambiando il nome, alcuni strumenti messi in campo e in parte la sostanza si assomigliano; forse è una questione di requisiti di accesso e di importi erogati.

Il centro sinistra aveva previsto due modalità di sussidio: il reddito di inclusione per incidere sulla povertà e la nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (NASPI) che sostituiva l’indennità di disoccupazione. Il reddito di cittadinanza vuole assorbire entrambi questi interventi. Un disoccupato con un reddito al di sotto di una determinata soglia era considerato povero, ma prima di arrivare ad integrare le entrate si doveva cercare di riattivare una posizione lavorativa, con modalità di riconversione professionale, per stimolarne l’autosufficienza economica.

Il NASPI veniva attivato quando un lavoratore dipendente perdeva il lavoro; tale provvidenza fu estesa ai supplenti e precari della scuola con contratti a termine il 30 giugno. Costoro devono rivolgere domanda all’INPS dichiarando la immediata disponibilità ad assumere un’altra occupazione, presentandosi al Centro per l’Impiego per la sottoscrizione del patto di servizio personalizzato. Tale patto è necessario per accedere all’indennità e farli partecipare ad attività previste nell’ambito delle politiche attive per essere ricollocati nel mercato del lavoro.

Questo tipo di contratto viene dunque considerato di carattere privatistico ed il lavoratore può essere chiamato dal Centro per l’Impiego per una proposta di lavoro così detta “congrua”. Una volta terminato il NASPI, in caso di persistente disoccupazione, potrà essere erogato un “assegno di ricollocazione” da spendere sul versante della formazione professionale per un’eventuale riconversione.

Se il reddito di cittadinanza previsto dal nuovo ordinamento sostituirà effettivamente il NASPI è presto per dirlo, anche se l’attuale governo vuol cancellare ogni ricordo del job act, sta di fatto che potrebbe riguardare anche gli insegnanti con contratti saltuari, in quanto venendosi a trovare in condizioni di difficoltà economica non è detto che possano fruire di molte e frequenti opportunità, soprattutto nelle regioni meridionali, anche in vista, proprio in quelle zone, di un previsto decremento della popolazione scolastica.

In questo caso il Centro per l’Impiego assumerebbe un ruolo anche nel reclutamento del predetto personale, superando il rigido meccanismo delle graduatorie, per arrivare a modalità più contrattuali e forse più motivate di assunzione. Ma la novità è che avrebbe la facoltà di scegliere tra tre opportunità a partire da quella più vicina a casa. Anche se si tratta di un numero piuttosto limitato di casi, il principio potrebbe essere riconsiderato a livello più ampio per superare il nomadismo imposto dalla buona scuola e l’annunciato reclutamento su base regionale.