Alle radici dell’autonomia scolastica

Ora che non è più il superconsulente del ministro Moratti (ma già nell’ultima fase del centro-destra il suo ruolo era divenuto più defilato), il prof. Giuseppe Bertagna si dedica alla riflessione sull’esperienza realizzata, e si sforza di collocarla in un quadro più ampio, riconnettendola addirittura al dibattito sviluppatosi nell’immediato dopoguerra sul superamento del “centralismo statalistico” costruito dallo Stato liberale e blindato dal ventennio fascista.

La sua tesi, ripresa anche nell’articolo che apre il numero di ottobre di “Nuova Secondaria”, la rivista di cui è ora condirettore, è che il germe dell’autonomia delle scuole, pur contenuto nella Costituzione del 1948, non ha potuto dare frutti a causa della oggettiva convergenza di interessi tra una sinistra naturaliter statalista e una DC più interessata a gestire il potente sistema scolastico ereditato (ordinamenti, organizzazione, apparato amministrativo) che a cambiarlo in omaggio al principio di sussidiarietà, su quale si fonda l’autonomia delle scuole.

Il tema dell’autonomia, a suo avviso, si è riproposto nell’ultimo decennio del secolo scorso, soprattutto con la legge n. 59 (Bassanini) e il DPR 275/99, ha trovato una solida base costituzionale nella riforma del Titolo V della Costituzione, ed è poi sfociato nella legge n. 53/2003, che detta solo le “norme generali” sull’istruzione (e i “livelli essenziali di prestazione” per il sistema di formazione), astenendosi dal gestire dal centro i processi innovativi.