Alla scuola della paura dobbiamo preferire sempre la scuola della speranza

La scuola italiana raramente ha ricevuto attenzioni da parte dei media e della società civile come quelle, non sempre desiderate, delle ultime settimane. Questa inusuale esposizione mediatica ha spinto molti media alla ricerca del sensazionalismo e della notizia a tutti i costi. C’è chi fa la mappa dei contagi in Italia, e chi va alla ricerca di bambini che disegnano a terra, poggiati sulle sedie a mo’ di banchi. Chi enfatizza i risultati organizzativi raggiunti (devo dire che il coraggio non manca) e chi va alla continua ricerca dei problemi, solo per il gusto di gettare fango sulla scuola e su chi la scuola la fa, tutti i giorni.

Se ricominciare era dunque necessario, quest’anno le insidie e le difficoltà sembrano essere esponenziali. Oltre alla consueta montagna da scalare, quest’anno abbiamo le difficoltà legate alla gestione del COVID e alla spettacolarizzazione di come le scuole stanno affrontando tutto questo. Sembra proprio che qualcuno non aspetti altro che vedere la scuola fallire.

La scuola però non solo non fallisce, ma reagisce e prova ad organizzarsi, darsi una struttura, reagire ai mille divieti, insomma prova a fare scuola. Non sappiamo ancora se la battaglia intrapresa porterà a una vittoria, che ricordiamo, sarebbe la vittoria dell’intera nazione. Sappiamo però che si sta facendo di tutto. Non sempre bene, ma appunto, tutto.

Pur nel rispetto dei rigidi protocolli mi sembra che al momento ci siano due diverse tendenze, legate alla governance, ma anche alla proposta didattica delle diverse scuole. Se è giusto e necessario avere un metro di distanziamento, di sanificare ambienti e materiali e di evitare contatti, le scuole stanno reagendo in modo molto diverso. Da un lato vedo la scuola della paura, nella quale il sentimento che orienta le azioni è appunto il timore, lo spavento. La paura, in questi casi, è il filo rosso che lega i rapporti tra docenti e con alunni e genitori. Non si intravedono le grande opportunità che la scuola, seppur mutilata nei rapporti può sviluppare.

L’attenzione è su tutto quello che non c’è, dai banchi ai docenti e si dà per scontato che sia impossibile cambiare e migliorare la propria realtà. In una scuola della provincia di Roma i genitori hanno dovuto chiedere alla Dirigente di permettere ai bambini della scuola primaria di fare lezione all’aperto, tanto è il timore che “possa succedere qualcosa”.

Alternativa alla scuola della paura è il modello che si fonda sulla speranza. La scuola della speranza non nega le difficoltà, anzi parte proprio da esse per sviluppare una proposta didattica ancora più innovativa e tecnologica.

Nella scuola della speranza i bambini non smettono di lavorare per gruppi cooperativi, come vediamo nelle foto che pubblichiamo di seguito e che ritrae gli alunni dell’Istituto Maria Immacolata di Pinerolo, ma lo fanno mantenendo le distanze lavorando all’aria aperta. Non smettono di correre e giocare all’aria aperta, ma lo fanno con attenzione. Le relazioni umane e in generale i rapporti sono orientati alla responsabilità e non prescindono da una visione fondamentale per la scuola italiana, cioè il concetto di cura. Si ha paura, ma non è la paura che orienta tutte le azioni.

Durante una riunione di inizio anno i docenti di una scuola primaria hanno comunicato ai genitori che questo non sarà l’anno delle innovazioni didattiche e si tornerà a una lezione completamente tradizionale, quindi trasmissiva. Sarebbe un vero peccato se davanti a questo bivio la scuola italiana decidesse di prendere la direzione della paura, dell’irrigidimento, della trasmissione di nozioni.

Immaginate se a Barbiana il povero don Milani si fosse arreso e avesse deciso di passare il suo tempo a fare messa ai pochi vecchietti che la domenica si recavano nella chiesa di S. Andrea. Invece, davanti al bivio tra paura e speranza scelse di ascoltare i bisogni del popolo barbianese e creò una scuola che ancora oggi attira e conquista migliaia di persone.

Immaginate se le sorelle Agazzi, nella Brescia di fine Ottocento avessero deciso di lasciar perdere di fare scuola, perché i bambini delle loro scuole erano veramente troppi e quindi inutile il lavoro. Non avremmo oggi il tutoraggio e molti spunti didattici ancora in uso nelle scuole dell’infanzia di oggi.

Immaginate se avesse perso la speranza il maestro Mario Lodi: non avremmo la scrittura collettiva, la ricerca come metodo d’indagine e molti dei capisaldi della letteratura pedagogica italiana.

Le grandi innovazione pedagogiche in Italia sono nate dalle difficoltà, dalla carenza di materiali, dai bisogni veri e reali di una certa comunità. Questo però non avviene in automatico, è necessario un atteggiamento responsabile e curioso, è fondamentale lo studio e la formazione continua, è richiesta una buona dose di coraggio perché davanti ad ogni bivio la scelta è sempre quella: da una parte la paura, dall’altra la speranza. Sta a noi scegliere la direzione da prendere.