Addio Stefania Giannini, l’ex ministro paga per tutti

E alla fine l’unico ministro del governo Renzi non confermato o non spostato ad altro incarico (come Alfano o Boschi) è stata lei, Stefania Giannini, ministro dell’istruzione, che ha così concluso la sua intensa ma breve carriera politica, tutta racchiusa nella corrente legislatura.

Candidata da Mario Monti al Senato nelle liste di Scelta Civica (“Con Monti per l’Italia”) e nominata segretaria del gruppo di SC al Senato, dopo il distacco di Monti dall’impegno politico diretto è diventata segretaria di questo partito (novembre 2013), in rappresentanza del quale è entrata nel governo Renzi (febbraio 2014). Dopo il clamoroso insuccesso (lo 0,7% dei voti) registrato da SC nelle europee dell’aprile 2014 è confluita nel PD insieme ad altri esponenti del partito ex montiano.

Giannini, rimasta alla guida del Miur per quasi tre anni (2 anni e 10 mesi), già prima del referendum del 4 dicembre era in odore di sostituzione a causa della insoddisfacente gestione della legge 107 (Buona Scuola), della quale lo stesso premier Renzi si era in più occasioni lamentato. Probabilmente il suo destino sarebbe stato lo stesso anche in caso di successo del sì nel referendum e di un probabile, a quel punto, rimpasto del governo.

Per la verità non si può dire che Stefania Giannini sia la massima responsabile di questa legge, che si è trovata a dover gestire senza esserne stata l’ideatrice. Ma, appunto, la prova del fuoco del suo spessore come ministro e leader politico sarebbe stata proprio quella di saper gestire una situazione difficile.

Certo è che Valeria Fedeli vanta una notevole esperienza politica e ha un passato da sindacalista di punta della Cgil. Il suo compito ora è quello di ricostruire un rapporto positivo con il mondo della scuola, anche in vista delle future e non troppo lontane elezioni politiche. Un compito che Stefania Giannini, ormai affondata nelle sabbie mobili della Buona Scuola, non è stata evidentemente ritenuta in condizione di assolvere.