Accordo mobilità 2017: alla fine si terrà conto della continuità didattica?

Siamo alle battute finali per l’accordo sulla mobilità 2017. Dopo il clamore suscitato dagli effetti del piano di mobilità straordinaria del 2016-17 che ha prodotto in molte scuole ampia discontinuità per gli alunni (disabili in particolare), andando ben oltre il fisiologico turn over, al tavolo delle trattative per la nuova mobilità siede ora un convitato di pietra: la continuità didattica.

La ministra Fedeli, in una intervista al Corriere.it di alcuni giorni fa, diversamente da quanto contenuto nel comunicato ministeriale pubblicato subito dopo l’intesa del 29 dicembre (sarà previsto per tutti i docenti lo svincolo dall’obbligo di permanenza triennale nel proprio ambito o nella scuola), ha precisato che, “per il 2017 la mobilità riguarderà solo per chi si è spostato quest’anno”.

La ministra ha anche aggiunto “Vorrei dal prossimo settembre che gli studenti trovassero i loro insegnanti in cattedra e possibilmente per tre anni. La continuità va incentivata.”

Si tratta soltanto di wishful thinking (un desiderio) oppure il nuovo contratto terrà conto del convitato di pietra (continuità didattica) contemperando l’attesa di sistemazione degli insegnanti con il diritto alla stabilità educativa degli alunni?

Il testo del decreto delegato sull’inclusione induce al pessimismo. Infatti ignora (non sappiamo quanto legittimamente) l’obbligo di permanenza del docente su una stessa scuola previsto dal comma 181, lett. c) punto 2 della legge 107/15 sulla Buona Scuola, e preferisce parlare di obbligo (decennale) dei docenti di permanenza non nella scuola ma nella tipologia (sostegno), consentendo indirettamente di muoversi all’interno di questa gabbia (un purgatorio che disincentiva l’accesso al sostegno) passando di scuola in scuola. Ancora una volta. Speriamo che non sia così.