Arriva la prima condanna per licenziamento ‘sessuale’

Il giudice del lavoro di Rovereto, in Trentino Alto Adige, ha condannato per la prima volta in Italia una scuola paritaria cattolica per aver discriminato un’insegnante in base al suo (presunto) orientamento sessuale.

L’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovrà risarcire con 25 mila euro per danni patrimoniali e non patrimoniali la docente, rappresentata dall’avvocato Alexander Schuster, e con 1.500 euro ciascuna la Cgil del Trentino e l’Associazione radicale Certi diritti.

Il Tribunale del lavoro di Rovereto ha stabilito che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola» e che la docente «ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore».

Il giudice inoltre ha rilevato una «discriminazione collettiva» perché la condotta della scuola «ha colpito non solo la ricorrente, ma ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’Istituto» (da qui il risarcimento al sindacato e all’associazione per i diritti civili).

«Finalmente ho avuto giustizia» commenta l’insegnante, che per questioni di privacy ha chiesto di rimanere anonima. «Questa decisione fissa un punto chiaro: i datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita — aggiunge l’avvocato Schuster —. L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro» .

La libertà religiosa non giustifica discriminazioni

Tra i passaggi più importanti dell’ordinanza c’è quello in cui il magistrato esclude che si possa applicare alla vicenda in esame la «clausola di salvaguardia» prevista «per le cosiddette organizzazioni di tendenza».

La legge italiana infatti prevede che «non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività».

Ma, afferma il Tribunale di Rovereto «nel caso qui in esame è stata perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi» e quindi non vale l’eccezione garantita dalla legge dalla legge «atteso che l’orientamento sessuale di un’insegnante» è «certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto».