Giustizia in educazione: dibattito aperto

La scuola democratica non deve sottostare ad alcuna regola di 'mercato'

Il nostro lettore Stefano Covello, professore ordinario di Filosofia e Storia negli istituti statali di istruzione superiore, ci ha inviato un interessante e appassionato contributo al dibattito sul tema ‘Giustizia in educazione’, ampiamente trattato nella NewsletterFOCUS di Tuttoscuola di questa settimana (http://tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=37776). Lo pubblichiamo volentieri, ringraziandolo per l’attenzione con cui ci segue, e invitando altri lettori ad intervenire sull’argomento o a proporre altri temi di discussione scrivendo all’indirizzo dedicato la_tribuna@tuttoscuola.com.

————

Il tema “Giustizia in educazione” è cruciale.

Ho visto degenerare la scuola in questi ultimi 20 anni, dopo una perdita di identità costituzionale nei 10 precedenti. Sono stati generati mostri come la scuola che seleziona al lavoro; la scuola che prepara alla competizione produttiva internazionale; la scuola che non appesantisce i migliori con le esigenze dei peggiori; persino la scuola con la famiglia; addirittura la scuola con un preside manager che controlla la produttività economico-sociale dell’azione formativa.

Io sono un “professore” di liceo e non mi rassegnerò mai ad essere definito un “insegnante”. Essere un “professore” è un diritto costituzionale, che presume libertà e responsabilità autonome. Forze politiche ed ideologie pragmatiche hanno piegato quello che è un fulcro della democrazia culturale –  che è fondamento delle democrazia politica – alle leggi della produttività misurabile e premiabile.

La scuola dovrà ricominciare ad educare i giovani cittadini offrendo loro gli strumenti culturali che li pongano in condizioni di eguaglianza sostanziale. Il figlio del principe e il figlio del contadino avranno uguaglianza solo se le loro culture saranno tra loro incommensurabili, se il nostro Paese comincerà a coltivare i propri ragazzi nella biodiversità, considerandoli soggetti dell’attività educativa e non oggetti della passività istruttiva.

Siamo in un deriva miope e non degna della tradizione culturale del nostro Paese.

Questa concezione della scuola lede fortemente l’idealità – ormai dimenticata – delle azioni che si irradiano dal potere esecutivo dello Stato. Essa corrisponde alla progressiva perdita di identità del potere legislativo e persino di quello giudiziario.

Vogliamo in Parlamento persone “competenti” di elevata cultura e di specchiata onestà? Ma siamo certi che sia questa la strada maestra per una democrazia compiuta? 

Da quella ignobile concezione dell’educazione dei giovani, deriva l’inaccettabile, e persino controproducente, selezione della classe “dirigente” italiana, sia essa politica, amministrativa, imprenditoriale, o quant’altro. La perdita della capacità culturale giunge a prospettare il successo esclusivamente come risultato “economico”, equilibrio tra bisogni e risorse, concorrenzialità, mercato. E questo proprio mentre il “mercato” dimostra la propria assoluta inadeguatezza, la propria accertata  incapacità di garantire la libertà, l’uguaglianza e la pace.

Che si lasci almeno la Scuola fuori dal “mercato”: questo solo io chiedo, affinché non vada in estinzione la biodiversità giovanile e non secchino per sempre le radici di una società fatta di uomini liberi ed eguali.

Stefano Covello