Poletti: L’ora di lavoro è un ‘attrezzo vecchio’? Anche l’ora di lezione…

Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora-lavoro”. Per la seconda volta in pochi giorni, dopo la sortita sulla laurea presa a 28 anni “che non serve a un fico”, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti attacca un altro totem della cultura del lavoro: quello dell’orario di lavoro, storicamente al centro della contrattazione sindacale.

L’ora di lavoro a fronte dei cambiamenti tecnologici è un attrezzo vecchio” ha detto il ministro in occasione di un convegno promosso a Roma dalla Luiss sulla riforma del lavoro.  E come aveva fatto la Flc Cgil, che aveva subito criticato le sue dichiarazioni sulla laurea, è stata Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, a scendere in campo: “Basta fare battute, c’è gente che fatica”, ha detto la leader del maggiore sindacato italiano, per la quale l’orario di lavoro contrattualizzato è una garanzia contro gli abusi.

Ma Poletti aveva sostenuto la sua tesi con motivazioni a nostro giudizio non banali, e che potrebbero essere estese anche al settore dell’educazione. Il lavoro, ha detto il ministro, è oggi “un po’ meno cessione di energia meccanica ad ore, ma sempre più risultato. Con la tecnologia possiamo guadagnare qualche metro di libertà”. Si dovrebbe cioè inserire nei contratti anche variabili legate al contesto e alla mission aziendale, legando di più le prestazioni dei lavoratori alla qualità dei risultati (“Penso anche a strumenti di partecipazione in cui aziende e lavoratori condividono i risultati”): un’apertura verso la contrattazione aziendale che ha probabilmente irritato i sindacalisti confederali, difensori della contrattazione nazionale.

In tempi di autonomia delle scuole (anche se spesso, per la verità, più proclamata che effettiva), di PTOF e di organici potenziati, di animatori e innovatori digitali, questa intuizione di Poletti potrebbe essere estesa alla scuola: anche l’ora di lezione – o meglio l’orario settimanale tradizionale – appare sempre più un ‘attrezzo vecchio’, adatto a una didattica tradizionale, frontale, unidirezionale. La nuova frontiera della didattica è la personalizzazione dei percorsi formativi, che richiede flessibilità, collaborazione, laboratorialità, tempi e modi di apprendimento individuali differenziati, classi aperte che si compongono e scompongono in funzione degli obiettivi assegnati ai singoli studenti, ben diverse dalle tradizionali classi chiuse, con standard e criteri di valutazione uguali per tutti.

E se il futuro (prossimo secondo Poletti) dell’ora di lavoro sarà quello di diventare più flessibile e legata alla produttività – tra telelavoro, coworking, smart working, videoconferenze e quant’altro – sembra giusto e lungimirante chiedere che la scuola ne tenga conto e che in qualche misura lo anticipi innovando la sua ‘ora di lezione’.