L’equivoco del fabbisogno della scuola

Nel testo della Buona scuola presentato nel settembre scorso il termine “fabbisogno” della scuola (inteso come organico di cui il singolo istituto avrebbe bisogno) viene citato nove volte, confermando che si vuole spostare il baricentro del sistema verso l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

In questi mesi più volte ministro e sottosegretari hanno ribadito questo concetto: partiamo dal fabbisogno della scuola. Giovedì scorso la Giannini, nel corso della trasmissione radiofonica “Radio anch’io” ha confermato: siamo partiti dal fabbisogno della scuola. E ha fornito alcuni esempi. “Se a me interessa potenziare l’italiano e la matematica, io partirò dalle graduatorie di italiano e matematica. Se a me interessa potenziare l’arte, la musica, l’educazione motoria, comincio da quelle graduatorie lì”.

Se davvero si vuole realizzare pienamente l’autonomia scolastica, come non essere d’accordo con una simile impostazione? Ma come si farà a conoscere il fabbisogno reale delle scuole e come si riuscirà a corrispondervi?

Per esempio, il ministro Giannini parla di fabbisogno oggettivo o di fabbisogno soggettivo? Se parliamo di fabbisogno soggettivo, spetterebbe a ciascuna istituzione scolastica definire il proprio fabbisogno e, possibilmente, attingere direttamente alle graduatorie per assicurarsi i docenti che effettivamente le servono.

Se invece quel fabbisogno è oggettivamente inteso, cioè individuato dall’esterno senza interventi discrezionali, non sarà la singola istituzione a decidere quel che serve. Ci pensa il sistema.

Allo stato attuale i vincoli contrattuali e le rigidità delle procedure di utilizzo dei docenti non consentono di assegnare insegnanti secondo il fabbisogno effettivo di ciascuna istituzione scolastica in una logica di reale autonomia. Le scuole non possono scegliere: prendono quel che passa il sistema.

Ma allora, finché queste sono le logiche, è difficile parlare di “rispetto del fabbisogno reale delle scuole”.