La Buona Scuola potrebbe sanare le ferite della primaria

Nella scuola primaria, più che in altri settori, le riforme Tremonti-Gelmini non hanno soltanto tolto posti, ma, operando tagli, hanno modificato la struttura del settore, con conseguenze sotto l’aspetto didattico e organizzativo. In particolare il taglio orizzontale delle compresenze – che non ha risparmiato nemmeno il tempo pieno – ha destrutturato la tradizionale organizzazione didattica.

Il pretesto del ritorno al maestro unico (che poi si è realizzato in pochissime classi) era stato giustificato dalla necessità di superare un eccesso di figure di insegnanti e di restituire unitarietà all’insegnamento. Ma alla fine il risultato è stato quasi l’opposto: oggi l’insegnamento nella primaria è affidato a una pluralità di docenti con una diffusa frammentazione di orari e compromissione frequente della unitarietà dell’insegnamento.

Le due ore di programmazione settimanale spesso non consentono la presenza di tutti i docenti delle classi interessate. Anche il tempo pieno, perdendo le compresenze dei due titolari, ha subito una destrutturazione che ne ha inficiato la qualità organizzativa.

La scuola primaria uscita da questa razionalizzazione ha subito, paradossalmente, una forte secondarizzazione, perdendo in parte la sua caratteristica di scuola di base.

La Buona Scuola, oltre a (o piuttosto che) prevedere il potenziamento del servizio scolastico con l’aggiunta dell’organico funzionale o l’espansione del tempo pieno, dovrebbe prima proporsi di sanare, almeno in parte, le ferite che hanno tolto qualità alla scuola primaria. Come? Restituendo in qualche modo posti per le compresenze e riportando il tempo pieno alla precedente formula organizzativa.

Precedenza alla qualità, insomma. Per una scuola buona.