DOSSIER 6 IDEE. IL DIBATTITO

Inseriamo in questo spazio, nell’ordine in cui li abbiamo ricevuti, gli interventi che ci sono pervenuti sulla tematica affrontata dal dossier ‘6 idee per rilanciare la scuola’. Sono finora intervenuti Maurizio Gentile, Ugo Zavanella, Paolo Calidoni, Gregorio Iannaccone, Stefano Ghidini, Sebastano Bagnara, Maurizio Tiriticco, Cornelia Carlessi, Giuseppe Desideri, Massimo Di Menna, Benedetto Vertecchi, Valentina Aprea, Andrea Gavosto, Giuseppe Bertagna, Nicola D’Amico, Vincenzo Alessandro, Giacomo Zagardo, Giorgio Allulli, Norberto Bottani, Fiorella Farinelli

 

Maurizio Gentile, LUMSA: insegnare ai giovani a non avere paura

Il lavoro di Tuttoscuola è impostato secondo il metodo della decisione basata su evidenze; un approccio utilizzato anche in sede internazionale. Gli indicatori e le analisi espresse, oltre a rimandarci falle sistematiche in termini di efficienza organizzativa ed efficacia educativa, ci dicono molto circa la qualità dell’esperienza educativa dei nostri ragazzi.

Parto da quest’ultimo aspetto poiché richiama la necessità di elaborare un progetto culturale, tema recentemente avvertito anche dal Ministro Carrozza. Pongo una questione: perché la scuola dovrebbe funzionare meglio? Estetica organizzativa o necessità storica? Rispondo ricorrendo ad un sogno.

Sogno una scuola dove, l’apprendimento è vissuto in un clima d’impresa conoscitiva, di scoperta e meraviglia per l’esistente, non burocratizzato: spiegazioni, interrogazioni, compiti in classe, scrutini, promozioni/bocciature, ecc. Sogno una scuola dove i docenti lavorano insieme e sentono di essere una comunità professionale autorevole. Sogno una scuola rigorosa e supportiva, dove i ragazzi imparano a saperci fare con le conoscenze e con gli altri. Sogno una scuola che mette alla prova gli studenti, che li sfida a crescere, che gli dia fiducia ad osare, a non aver paura.

Come comunità nazionale, penso che abbiamo bisogno di visioni che si declinino con concretezza e fattualità a livello di singoli istituti. Gli ambienti di apprendimento, la gestione organizzativa, la selezione del personale dovrebbero essere funzionali ad una visione rispetto alla quale buona parte dei cittadini possano riconoscersi, coinvolgersi, attribuire fiducia. Mi auguro che 10, 100, 1000 lavori come questi continuino a stimolare la ricerca, la discussione, il pensiero educativo. Grazie Tuttoscuola!

*Ricercatore, Docente in Pedagogia Sperimentale presso la LUMSA di Roma, Direttore della rivista RicercAzione  

 

Ugo Zavanella, negli IC serono assistenti tecnici

Decisamente interessante la pubblicazione delle “ 6 idee per la scuola” avvenuta in questi giorni da Tuttoscuola.

Intervengo brevemente sulla “sesta idea: Digitalizzazione delle scuole (per tutti)”. Oltre al segnalato grave divario fra scuole di serie A  ( completamente digitalizzate, pochissime) e le scuole di serie B ( poco o niente digitalizzate, moltissime ) come dirigente scolastico di un Istituto comprensivo mediamente digitalizzato intendo mettere in evidenza un’ulteriore differenziazione tra gli  Istituti scolastici italiani: nello specifico tra gli istituti Comprensivi e  le Scuole Secondarie di secondo  grado.

Riscontriamo infatti, negli Istituti Comprensivi, la totale  mancanza di personale (leggi assistenti tecnici ) a fronte del numeroso personale specifico, per altro assolutamente necessario,  presente negli organici ATA delle Secondarie di 2° Grado.  Nell’istituto da me diretto (1200 alunni fra infanzia, scuola primaria e secondaria di I° grado ) a fronte di circa 80 computer, 25 Lim, registro elettronico, sito web, etc. non è previsto alcun assistente tecnico per la programmazione, implementazione, manutenzione delle dotazioni tecnologiche ( come invece avviene nelle superiori).

Personalmente ritengo assolutamente ormai necessario che il Ministero preveda un intervento in tal senso predisponendo, in tempi brevi, opportune misure nell’organico delle scuole comprensive.

*Dirigente I.C. San Giorgio di Mantova

 

Paolo Calidoni: la scuola è un ‘bene comune’

Leggo le ‘Sei idee di Tuttoscuola per rilanciare la scuola e contribuire alla crescita del Paese’ avendo ben presenti le esigenze e le domande dei genitori e dei bambini di oggi, raccolte anche nelle conversazioni estive in spiaggia o in rifugio, ma anche la quotidianità delle scuole e la distanza da tutto ciò delle dispute ‘ideologiche’ che hanno portato al susseguirsi di riforme e controriforme scolastiche negli ultimi lustri.

E penso si tratti di idee che

– rispondono alle domande di servizi educativi e di aggiornamento all’attualità tecnologica, 
– non si pongono ‘contro’ o ‘per’ un’impostazione di parte ma nella prospettiva del superamento di inadeguatezze che sono sotto gli occhi di tutti per il riconoscimento e la valorizzazione della scuola come ‘bene comune’ della comunità nazionale e locale e come costruzione di futuro,
– sono per lo più concrete, fattibili, stimolanti e generative di possibilità di miglioramento anche per piccoli passi e con azioni locali, se si vuole.

Idee da mettere alla prova al più presto, senza aspettare di aver costruito la soluzione teoricamente perfetta, mentre il sistema si sfalda; per ricostruire la nave logora strapazzata da recenti tempeste, mentre si continua a navigare.

*Docente di didattica generale – Università di Sassari

 

Gregorio Iannaccone: positiva provocazione

Tuttoscuola rende con questo dossier un servizio qualificato, onesto e coraggioso alla scuola italiana, mentre si riaprono sempre più stancamente le aule senza che nessuno dei problemi strutturali in termini di edilizia, di organici, di innovazione vera siano stati non dico risolti, ma almeno dignitosamente affrontati.

Il dossier dice le cose che la gente perbene di scuola (la stragrande maggioranza degli addetti) da tempo sussurra e condivide.

E’ un invito a ricominciare a parlare seriamente di scuola, a considerarne il valore strategico, scevro da conservatorismi ormai superati, da stagnazioni pericolose, da mummificazioni dell’Amministrazione.

L’ANDIS ritiene positiva e lungimirante questa provocazione d’inizio d’anno, e si augura che possa stimolare un dibattito di massa nelle scuole e fuori di esse, tra i decisori politici e i soggetti che hanno a cuore le sorti del nostro Paese e il suo futuro.

I dirigenti scolastici non faranno mancare il loro contributo appassionato e sereno, elemento caratterizzante della complessa funzione.

*Presidente ANDIS

 

Stefano Ghidini: ok tablet e pc, ma non basta

Sui temi e sugli obiettivi che ritrovo nel dossier “Sei idee per rilanciare la scuola” riguardanti la digitalizzazione della Scuola concordo pienamente. Mi permetto di integrare il lavoro di Tuttoscuola con alcune osservazioni frutto dell’esperienza maturata sul campo.

La digitalizzazione delle scuole è un processo complesso e graduale. Molte scuole hanno pensato che l’acquisto di un tablet o di un pc avrebbe rinnovato l’immagine della scuola.  Un grave errore.

Per poter gestire questo processo è necessario analizzare innanzitutto le peculiarità del corpo docenti e aver attentamente studiato e realizzato un’infrastruttura adeguata.

Altro punto importante è la distribuzione della connettività internet in tutto l’istituto, ben consapevoli che una connessione lenta e poco stabile renderà vano ogni tentativo di utilizzo del digitale.

Per ottimizzare la formazione degli insegnanti è fondamentale non far perdere loro tempo in banali corsi sull’utilizzo del dispositivo. Le ore risparmiate possono in questo modo essere impiegate in modo proficuo per ore di incontro e condivisione delle esperienze didattiche innovative introdotte.

Potrebbe risultare banale, ma per poter  gestire al meglio una classe digitale è spesso necessario variare l’ambiente di apprendimento. Negli ultimi mesi anche in Italia molte scuole stanno entrando in possesso di banchi modulari, che consentono grazie alle loro forme e all’estrema leggerezza di variare in un attimo la configurazione della classe (dalla lezione frontale alla collaborazione in un min)

Un problema che deve essere tenuto in alta considerazione è quello dell’assistenza.

Non basta infatti la garanzia fornita per legge dal produttore a risolvere tutte le problematiche relative alla gestione di decine se non di centinaia di apparecchiature. E’ fondamentale che la scuola si rivolga a rivenditori di comprovata esperienza in grado si documentare quanto già implementato con successo in altri istituti.

Tutto questo processo è gestibile a livello economico solo se vengono coinvolti professori e famiglie.

Un impegno importante della scuola è quello, dopo aver creato i presupposti affinché le nuove tecnologie vengano utilizzate in modo proficuo,  di identificare il prodotto/soluzione con  il miglior rapporto qualità/prezzo  indicando ove possibile delle forme di rateazione agevolata dell’importo.

*Responsabile Divisione Education C2 group di Cremona

 

Sebastiano Bagnara: sì ICT, no ‘colonialismo digitale’

Le proposte di Tuttoscuola sono assolutamente condivisibili perché affrontano problemi reali, fatti assodati, veri ma purtroppo poco noti o meglio vissuti ormai come immodificabili nel pensare comune: il sottoutilizzo dell’investimento (edifici scolastici attivi per una quota troppo limitata di tempo), la pressoché totale assenza di figure (gli ispettori) indispensabili per il funzionamento di una qualsiasi organizzazione, il costo sociale dell’abbandono scolastico, l’ambiguita’ del ruolo dell’INVALSI (buonissima la proposta di dare a questo organismo uno statuto simile all’ISTAT), solo per ricordare alcuni fatti, che sono anche proposte.

Condivido anche la proposta riguardante le tecnologie digitali. Tutti devono saper usare ma soprattutto “conoscere” le tecnologie digitali. E per questo forse è utile ricordare la proposta avanzata da Roberto Casati nel suo libro “Contro il colonialismo digitale” che vede la scuola come luogo anche temporale istituzionalmente  protetto in cui riflettere criticamente sui cambiamenti anche cognitivi oltreché sociali che le tecnologie digitali stanno comportando. Su questa proposta del dossier una qualche cautela critica forse non guasterebbe.

*Professore di Psicologia cognitiva, università di Sassari


Maurizio Tiriticco: decisivo il ‘comportamento insegnante’

Gli argomenti di discussione proposti da Tuttoscuola sono tutti interessanti, in quanto individuano i sei punti deboli del nostro “Sistema Educativo di Istruzione e Formazione” professionale (legge 53/03; art. 2, 1c). Il terzo argomento riguarda gli insegnanti del sottosistema dell’Istruzione che necessita di un personale docente che sia all’altezza di quei cambiamenti epocali che sono sotto gli occhi di tutti, nel campo dell’educazione (del cittadino), della formazione(della persona) e dell’istruzione (le discipline di studio che preparano alle competenze professionali), le tre vie che devono garantire a tutti i nostri giovani quel successo formativo, di cui all’art.1, c2 del dpr 275/99.

E’ corretto affermare che “nessuna riforma può avere successo se non vengono sviluppati nei docenti interesse e motivazione verso la propria professione (che indubbiamente deve essere legata ai risultati)” e che “nessun sistema di valutazione degli insegnanti e della scuola può essere avviato se non vengono rifondate le basi del livello di professionalità dei docenti in servizio”. Di qui la necessità di una loro formazione continua in servizio (altra cosa rispetto all’aggiornamento, che riguarda le conoscenze e le competenze disciplinari), la cui obbligatorietà, a mio avviso, non discende tanto da un disposto contrattuale, quanto da una diffusa consapevolezza di dover disporre di strumenti professionali sempre nuovi per far fronte a soggetti in apprendimento che giorno dopo giorno propongono bisogni la cui lettura risulta spesso difficile. Del resto, non c’è professionista, oggi, che non debba costantemente arricchire le sue competenze professionali, in relazione ai costanti mutamenti che caratterizzano qualsiasi comparto lavorativo.

Di qui, a mio avviso, la necessità di insistere sul concreto “comportamento insegnante” nelle relazioni con gli alunni. E’ inutile parlare di abilità e competenze, quindi di precisi comportamenti pluridisciplinari che i nostri studenti debbono acquisire, se i nostri docenti persistono nel proporre e perseguire contenuti e conoscenze spesso solo disciplinari. E’ inutile proporre una didattica laboratoriale (non c’è documento di riordino di cicli che non ne parli), se la lezione cattedratica e il libro di testo continuano a essere gli strumenti apprenditivi di sempre. E’ inutile parlare di progettazione didattica, quando spesso sia gli alunni che gli insegnanti non sanno quali obiettivi specifici di apprendimento perseguono.

Dagli anni Settanta fino ad oggi ricercatori come i De Landsheere, Mauro Laeng, Graziella Ballanti, Clotilde Potecorvo (di lei ricordo i recenti La scuola come contestoDiscutendo si impara), si sono occupati della cosiddetta “mediazione didattica”, del come e perché l’insegnante debba in primo luogo sollecitare curiosità, stimolare attenzione e ricerca, motivare al “fai da te” e al “fai da te con altri”. Oggi l’insegnante non è più depositario di un sapere che deve trasmettere, perché oggi non esistono più saperi codificati e perché, in effetti, da sempre un sapere si conquista e non si trasmette. Preferiamo parlare di “insegnante collettivo”, dal momento che nello stesso contratto di lavoro si insiste sul fatto che l’insegnante deve svolgere “attività individuali e collegiali” e avere competenze anche “organizzativo- relazionali”.

Una scuola che si è adagiata sui processi cognitivi lineari fa molta fatica oggi a misurarsi con quei processi cognitivireticolari a cui i nostri figli sono sollecitati fin dalla nascita! Ed è quanto mai difficile nelle scuole insistere e persistere sulla intelligenza analitico/digitale, quella di sempre, quando studiosi come De Bono (Il pensiero laterale, Sei cappelli per pensare) o Gardner (Le intelligenze multiple) dimostrano che esiste un’altra forma di intelligenza, quella sintetico/analogica, che è quella che caratterizza le operazioni cognitive dei nostri ragazzi. In questa direzione vanno anche le sollecitazioni di un Morin nel noto saggio I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Mi piace ricordarne solo due: insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze. Quanto giocano i processi intuitivi della “mano sinistra” – per dirla con il Bruner – a fronte dei processi analitici della “mano destra”?

Mi sono limitato ad accennare semplicemente a “strumenti di lavoro” nuovi che un insegnante deve conoscere e padroneggiare. Ciò non significa cancellare la lezione in assoluto, ma arricchirla con mille altre modalità interattive che devono far parte delle competenze professionali dell’insegnante. E un chiaro accenno alla complessità di queste competenze discende anche dagli articoli 26 e 27 dell’ultimo Ccnl.

Per non dire del problema della valutazione! Da un lato l’Invalsi propone prove assolutamente nuove rispetto alla tradizione valutativa della nostra scuola (prescindo da un giudizio di merito sulla natura e l’efficacia di tali prove); dall’altro insegnanti e alunni, in larga misura, non ne comprendono né l’efficacia né il valore. Da un lato un Ministero che con il ritorno ai voti ci riporta al secolo scorso, dall’altro le prove Pisa che sollecitano strategie risolutive “creative” ad alunni troppo abituati a esercizi “applicativi” di regole diligentemente apprese.

Nelle scuole si avvertono mille difficoltà sulla tematica dell’innovazione che sia le Indicazioni nazionali che le Linee guida sottendono e timidamente propongono. Per quanto riguarda il primo ciclo sono state varate delle misure di accompagnamento! Riusciranno ad incidere sui concreti quotidiani comportamenti degli insegnanti? E per il secondo ciclo che cosa si sta predisponendo?

Voglio sperare che l’iniziativa avviata da Tuttoscuola solleciti gli insegnanti e tutti coloro che hanno a che fare con la scuola – governanti e governati – a entrare nel vivo dei problemi che ho appena accennati. E voglio anche credere che siano gli insegnanti stessi a pretendere di essere formati in progress con cadenze continue per far fronte ai problemi che un’utenza sempre nuova propone con forza.

E a pretendere anche di essere convenientemente retribuiti!

*Esperto di didattica, già ispettore centrale del Miur

 

Cornelia Carlessi: unificare i software di gestione

Il dossier lo condivido pienamente. Dalla mia esperienza di questi ultimi anni come girovaga in diversi istituti della bergamasca, vorrei far presente, però, anche un piccolo aspetto non irrilevante, vale a dire l’inefficacia del sistema informatizzato: ogni segreteria ha un suo software di gestione, ogni istituto ha un suo software per il registro elettronico e ad ogni cambio di scuola i docenti sono obbligati a “prendere servizio” compilando ancora nel 2013 decine e decine di moduli cartacei (se un docente ha tre istituti li deve compilare tre volte, e se l’anno successivo cambia ancora istituto, li deve compilare di nuovo), tutti gli anni con le stesse informazioni. Basterebbe, per esempio,  avere un unico software per tutti gli uffici scolastici, per tutte le segreterie di tutti gli istituti, in modo che il passaggio dei dati e delle informazioni diventi una semplicissima operazione … un semplice clic.

Anche per il registro elettronico, se ci fosse un unico software, sarebbe un grosso vantaggio per tutti i docenti che ogni anno cambiano istituto (e sono tanti), ma anche per le famiglie (tre figli in tre istituti diversi, tre registri elettronici diversi, tre modalità diverse per accedere, ecc. ecc.). Con una semplice operazione organizzativa i vantaggi in termini di tempo, di denaro e di semplificazione sarebbero davvero inestimabili.

*Docente

 

Giuseppe Desideri: obiettivo zero bocciati, zero dispersi

Sulla scuola si susseguono le analisi e gli studi che ne evidenziano limiti e problematiche. Va riconosciuto a Tuttoscuola di avere avuto il coraggio di uscire fuori dal coro di chi mette la scuola all’indice per le sue, evidenti, difficoltà per proporre, con l’ultimo dossier all’attenzione dei decisori politici, e di tutti gli operatori del settore, alcune concrete piste di intervento. 

Sono sei le “idee per rilanciare la scuola e contribuire alla crescita del Paese”: ottimizzare le risorse, abbattere la dispersione, valorizzare gli insegnanti, una vera autonomia, eliminare gli sprechi, digitalizzare la scuola. Va detto che il dossier va al centro di alcune principali questioni  non preoccupandosi di seguire logiche politically correct. Devo riconoscere che in complesso c’è una convergenza con le proposte che da tempo l’Associazione italiana Maestri Cattolici porta avanti.

L’ottimizzazione delle risorse con interventi chirurgici ben mirati e “non lineari” su alcune voci di costo potrebbe dirottare risorse sull’investimento in innovazione e miglioramento dell’offerta formativa. La digitalizzazione, per esempio, non può essere occasione per una élite di studenti e docenti di 14 scuole su 8000: servono investimenti intelligenti, non tanto in hardware, rapidamente obsoleto, ma in infrastrutture tecnologiche e formazione docenti all’utilizzo della multimedialità.

Su valutazione,  monitoraggio e supporto delle scuole autonome Tuttoscuola afferma una verità sotto gli occhi di tutti e denunciata a più riprese dall’Aimc: la politica sull’organico dei Dirigenti tecnici è schizofrenica rispetto a quanto dichiarato e scritto nelle norme dai Governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio.  Sulla dispersione la questione è ben complessa e l’obiettivo dovrebbe essere: bocciati=0, dispersi=0. Ogni bocciato o studente che abbandona è una sconfitta per la scuola e in seguito per la società. È una risorsa in meno per il rilancio del Paese. La scuola deve mobilitare la migliore energia di ciascuno studente affidatole e deve offrire tutte le possibilità per l’apprendimento soprattutto per i soggetti in difficoltà: la scuola deve essere per la  promozione della persona, non per la selezione.

Sull’apertura delle scuole e l’ampliamento dell’impegno dei docenti il discorso meriterebbe un approfondimento.  Quello che è ampiamente condivisibile è la costatazione che se non si parte dalla professionalità dei docenti, e dei dirigenti, non ci può essere miglioramento della scuola. Ai docenti si può anche chiedere di riformulare alcune prassi professionali consolidate e ormai non più aderenti alle esigenze della scuola italiana di oggi, ma ciò non deve significare “chiedere di più” senza apportare miglioramenti e incentivazioni alla professionalità. Tuttoscuola apre, finalmente, un dibattito fatto di proposte e che mira alla collaborazione fra professionisti, studenti, famiglie: è la strada migliore per rilanciare una scuola che contribuisca “alla crescita del Paese”.

* Presidente AIMC

 

Massimo Di Menna: via la scuola delle carte

Il dossier puo’ rappresentare un utilissimo riferimento per chi ha responsabilità di governo del  sistema di istruzione pubblico. Serve una scossa di modernizzazione con particolare attenzione alla dimensione europea. I nostri alunni, che oggi hanno 10 anni, quando ne avranno 20 saranno probabilmente cittadini europei, e la scuola ha un ruolo importante per la loro formazione. Serve una vision di riferimento, è quello che manca alla nostra politica, più protesa alla contrapposizione che a capacità decisionale.

Nel merito delle sei idee, per la cui attuazione si può operare, mi soffermo su due questioni: l’autonoma scolastica, che rischia di diventare un totem pieno di parole,  e la valorizzazione dell’impegno degli insegnanti. La via della valutazione e dei controlli, per l’autonomia è quella giusta; si potrebbe ovviare alla carenza di ispettori, funzione tecnica di supporto, puntando su dirigenti e professori che hanno una forte esperienza nella innovazione didattica ed organizzativa. Deve essere valorizzata la esperienza professionale sul campo, fatta nelle aule scolastiche, che spesso è di altissima qualità.

Inoltre lo strumento per favorire l’utilizzo flessibile delle risorse è la organizzazione di reti di scuole; pensiamo al nuovo modello di formazione introdotto per questo anno scolastico, per sostenere innovazioni quali le nuove indicazioni nazionali per il curriculum o la digitalizzazione. In questo contesto la centralità della didattica deve mettere ai margini la così detta scuola delle carte e dei progetti, e della burocrazia procedurale.

Gli ambiziosi obiettivi che pone il dossier richiedono un recupero del valore della funzione docente, con  una rendicontazione da parte delle reti di scuole degli esiti formativi. Va comunque garantito il valore  del rigore dello studio oltre che dell’accoglienza. La scuola non può trasformarsi in una sorta di club mediterranée. Il sindacato può contribuire alla qualità e alla modernizzazione della scuola pubblica, ma deve puntare sul cambiamento. Il governo deve spostare risorse per la scuola, portando la spesa a livelli europei, nel rapporto con la spesa pubblica; va affrontata così l’emergenza basse retribuzioni, e realizzato un piano di graduale avvicinamento agli stipendi europei. Il blocco di contratti e delle nostre basse retribuzioni deciso dl Governo Letta contraddice tale esigenza, e deve essere rivisto. La sfida della modernizzazione e del cambiamento riguarda tutti. Le buone idee servono molto. Le sei di tuttoscuola sono un bel patrimonio.

*Segretario della UIL scuola 

 

Benedetto Vertecchi: essenziale spendere meglio

Credo che le proposte di Tuttoscuola vadano nella giusta direzione. Quel che occorre, infatti, è riaprire il confronto sul merito del funzionamento della scuola, ossia sugli scenari che si stanno profilando, sui nuovi compiti che l’attendono, sui modi per far fronte a una domanda sociale in rapida trasformazione. Ciò non vuol dire, ovviamente, che si debba giurare sulle singoli indicazioni fornite. Si rischierebbe di ricadere nella presunzione di adeguatezza delle conoscenze occorrenti per operare scelte di lungo periodo che non è l’ultima causa del pantano in cui il sistema educativo rischia di sprofondare. Mi limito a citare due esempi:

si sostiene che l’autonomia deve essere accresciuta e valorizzata. Bene. Ma di che autonomia si tratta? Finora se ne sono viste tracce nella gestione delle scuole, e non so se si sia trattato sempre di tracce positive. Ma l’autonomia che fa l’educazione è prima di tutto, e non può essere altrimenti, un’autonomia nelle scelte culturali. Che cosa si è fatto per promuoverla? E, allo stato delle cose, siamo sicuri che sussistano le condizioni per intraprendere il cammino che sarebbe necessario? Può darsi che in un grande paese, com’è l’Italia, vi siano tesori nascosti, ma quel che è certo è che non si è fatto nulla per farli emergere e, ancor meno, per produrre nuove interpretazioni. Non vedo, in queste condizioni, un futuro promettente né per l’autonomia, né per quanto a essa si collega, in primis la valutazione del sistema educativo;

uno dei punti menzionati riguarda l’uso di risorse tecnologiche. Nulla da obiettare sul fatto che la tecnologia tenda a modificare sostanzialmente le condizioni dell’interazione sociale, e quindi anche di quella educativa. Ma che cosa c’è di sufficientemente definito per avanzare proposte su singole soluzioni o, addirittura, su singole strumentazioni? Dove sono i dati che dimostrino la loro efficacia? Si parla tanto di revisione della spesa (mi si perdoni se preferisco l’italiano alle saccenti espressioni in inglese che mi ricordano il latinorum di Renzo), ma si è considerato che si investono i pochi soldi a disposizione per dotazioni che, bene che vada, resistono meno del tempo necessario a una leva di allievi per percorrere un certo tratto di percorso educativo? E qualcuno si è chiesto se quei soldi non sarebbero meglio spesi per ripristinare, quando c’erano, o creare, se non ci sono mai stati, nelle scuole laboratori nei quali compiere esperienze reali? Oppure, per rilanciare le biblioteche scolastiche, come strumento per affermare la centralità della lettura e la comprensione del testo nei processi di comunicazione culturale?

È giunto il momento, e le proposte di Tuttoscuola sono benvenute per il contributo che danno a riavviare la riflessione, di superare la simulazione di efficienza che ha portato a disgregare tempi, modi e contenuti dell’educazione scolastica. Se è così, aggiungerei ai sei considerati un settimo punto: evitare il senso comune e misurarsi con le contraddizioni. In altre parole, incoraggiare chiunque sia interessato al funzionamento della scuola, o abbia qualche responsabilità nel suo funzionamento, a studiare.

*Docente di Pedagogia sperimentale – Università di Roma 3

 

Valentina Aprea: significativo contributo a un dialogo aperto

Ho letto con interesse ed attenzione il nuovo dossier di Tuttoscuola e ritengo che possa costituire un significativo contributo ad un dialogo aperto sul ruolo che il sistema di istruzione e formazione può e deve giocare  nella nostra società, sfidata dalla globalizzazione e dagli esiti dell’innovation technology.

Vorrei far precedere le mie osservazioni sui singoli punti evidenziati nel dossier, da alcune proposte di interventi strategici che, a mio avviso, potrebbero contribuire a meglio orientare e sostenere gli interventi tattici che la rivista, con la consueta intelligenza, suggerisce.

Li ordino per grado di fattibilità:

1)    potenziare il sistema dell’istruzione  e formazione professionale regionale, di natura secondaria e superiore, assegnando poste fisse di bilancio nazionale;

2)    investire davvero sull’apprendistato formativo, rendendo praticabile l’ipotesi di costruire un sistema che eroghi i titoli di studio in apprendistato dai 15 ai 29 anni;

3)    mettere a sistema, come si è iniziato a fare, l’alternanza scuola lavoro come metodologia didattica che contempla al proprio interno l’alternanza formativa tra teoria e pratica, tra attività scolastiche e sociali, tra scuola e impresa/lavoro rispettivamente: a) nei percorsi di istruzione; b) nei percorsi di istruzione e formazione professionale; c) nei percorsi di apprendistato; d) nei tirocini curricolari ed extracurricolari;

4)    abolire il valore legale dei titoli di studio, incrementando il ruolo della valutazione di sistema e ridurre la durata del percorso di studio ad un totale di 12 anni, portando il termine a 18 anni, come accade negli altri Paesi d’Europa.

——- Segue una dettagliata analisi dei 6 punti in cui si articola il dossier, consultabile cliccando su questo link.

*Assessore all’istruzione e formazione della Regione Lombardia


Andrea Gavosto: doppio binario per la professione docente

I sei temi individuati da Tuttoscuola segnalano gli aspetti di maggiore disagio della scuola italiana oggi.  Se non esauriscono l’intero spettro delle criticità (per citarne una, l’inaccettabilità di forti divari territoriali di apprendimento è un altro tema cruciale, dal dossier soltanto evocato, ma non sviluppato), certamente propongono importanti spunti di discussione; le proposte operative sono poi ben ragionate e del tutto condivisibili.

Come  non essere d’accordo, ad esempio, sull’idea di una scuola aperta al pomeriggio e nei mesi in cui ora è chiusa come strumento in primo luogo (ma non solo) per combattere la dispersione scolastica? La Fondazione Agnelli era giunta alle stesse conclusioni, fondandole sulle ricerche svolte nel suo Rapporto del 2010.

E come non essere d’accordo sulla necessità di superare una visione della carriera dei docenti legata alla sola anzianità di servizio? E, più in generale, farla finita con il “patto scellerato” per cui all’insegnante lo Stato dà poco, ma chiede anche poco? Da tempo affermiamo che il nuovo contratto di lavoro dei docenti nel 2014 può essere l’occasione per una svolta radicale che, insieme a standard di formazione e reclutamento più rigorosi e trasparenti (basta con le graduatorie e le ope legis nemmeno ben mascherate, come i recenti PAS…), introduca nella professione docente un doppio binario.

Gli insegnanti che desiderano impegnarsi di più e guadagnare di più devono poter scegliere – se soddisfano standard professionali adeguati – l’opzione del tempo pieno, fino alle normali 40 ore, da svolgere con la presenza a scuola, tenendo corsi di recupero, correggendo e preparando verifiche, partecipando ad attività formative o di coordinamento didattico. Questa deve essere la sola strada che consente al docente di accedere, attraverso un ulteriore processo di valutazione e di selezione, a funzioni di maggiore responsabilità  didattiche e organizzative all’interno della scuola, con le dovute implicazioni in termini di carriera e di retribuzione. Naturalmente, chi lo vuole – ecco il secondo binario – potrà mantenere l’orario attuale, sapendo che, in cambio del maggior tempo libero, lo stipendio rimarrà basso e non ci saranno prospettive di avanzamento.

*Direttore della Fondazione “Agnelli” – Torino

 

Nicola D’Amico: se le ‘sei idee’ diventassero legge…

Nicola D’Amico, autorevole storico della scuola e prestigioso giornalista scolastico, ci ha inviato una sua rilettura in chiave normativa delle proposte contenute nel nostro dossier. Con l’ironia e l’understatement che lo distingue lo ha voluto definire un ‘divertissement’. Riteniamo che sia qualcosa di più: quasi una prova di fattibilità giuridico-amministrativa delle proposte che Tuttoscuola ha avanzato, con qualche integrazione d’autore. Lo ringraziamo e mettiamo a disposizione dei lettori questo suo contributo al dibattito e alla riflessione, consultabile a questo link.

Che ne pensate? Scrivetelo a redazione@tuttoscuola.com o utilizzate la piattaforma disqus sul portale.

 

Giuseppe Bertagna: tre precondizioni per rilanciare la scuola

Tutto ciò che è maturo e non si coglie, marcisce. È un proverbio delle mie parti. Ma è pure esperienza comune. Non c’è santo che tenga. Si può fare qualsiasi cosa per impedire la decomposizione: dare acqua alla pianta, togliergliela, deprecare con melopeee più o meno cadenzate il processo degenerativo in corso, perorare interventi rigenerativi e, pure, tecnicamente appropriati, denegare quanto capita e così via. Ma non c’è niente da fare. L’infradicimento e la cancrena, se non si coglie il frutto a tempo debito, sono irreversibili. Ebbene che cos’è che è maturo e che va asportato, oggi, chirurgicamente, dal nostro sistema scolastico per poter risanare e rilanciare l’albero che ce lo ha dato? Anzi che cos’è che andava asportato fin dall’inizio del secolo, senza accusare chi ha tentato di farlo senza successo di «riformismo inconcludente»?

Anzitutto, il suo essere strutturato ancora sul modello ottocentesco, cioè pensato, oggi, 2013, con il mondo che abbiamo, come potesse continuare ad essere un «apparato statale per costruire la Nazione».

In secondo luogo, il suo poggiarsi su un ordinamento culturalmente, tutto sommato, ancora gentiliano, con i licei in serie A, i tecnici in serie B, i professionali statali in serie C, i cfp regionali in serie D e l’apprendistato formativo addirittura in fuori gioco. Quindi, su un’idea di merito piramidale e selettiva che, oggi, è perfino neurologicamente del tutto stravagante.

Il suo essersi, infine, ridotto all’autoreferenzialità sindacal-amministrativa, per di più elefantiaca e centralizzata, quindi del tutto incapace di scambio fisiologico simmetrico con l’esterno, sia esso costituito dalla famiglia o dalla società o dall’impresa.

Non amo le pose gladiatorie e le logoclastie polmonari. Non sono ignivomo. E nemmeno uno sconsiderato. Ma credo che ogni intervento efficace in tema di qualità del sistema di istruzione e di formazione del paese dovrebbe partire dalla presa d’atto dell’ormai strutturale, irrecuperabile anacronismo delle fondamenta su cui si basa.

Non si tratta di negare la funzione storica che ha svolto un sistema scolastico che è giunto alle maturazioni che poteva dare proprio grazie a queste stesse fondamenta.

Si tratta di riconoscere, al contrario, dopo le convulsioni durate decenni, e tanto più dopo la distanza tra le sfide epocali che vediamo e gli esiti formativi che verifichiamo ogni giorno, che è finita l’epoca della razionalizzazione e della ottimizzazione dell’esistente.

Certo che si può andare avanti ancora a lungo così. Conviene, del resto, a molti, nel breve periodo. Anche dal punto di vista economico. Corporativismo essenziale.

Se si guardano i processi tecnologici, sociali, geomondiali e, soprattutto, culturali e morali in corso da tempo con occhi meno miopi, tuttavia, il continuare la strada degli accomodamenti tecnico-amministrativi mi fa sempre più condividere l’ammonimento del mio amato Rousseau: «nulla è più adatto a rendere saggio delle follie che si vedono senza prenderci parte».

Insomma, nel contesto che viviamo, non abbiamo bisogno de I rinoceronti, per dirla con lo Ionesco del 1959. Ma, nel suo linguaggio, di Individui. Individui, spero io, che siano anche «persone» e che si comportino da persone, tra loro e nell’insieme sociale. Con tutte le dirompenti e creative conseguenze del caso.

Ciò di cui non abbiamo certo più alcun bisogno è di forze politico-sindacali che, sebbene con indomita fraseologia rivoluzionaria, in realtà, continuano a difendere e a conservare come il migliore dei mondi possibili lo stato di cose esistito fino a pochi anni fa, dimenticando, ad esempio, che, nel Manifesto, Marx aveva chiamato comunismo solo quel «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente».

Apprezzo, quindi, tutte le proposte di razionalizzazione avanzate da Tuttoscuola. Salvo una, in realtà. Quella che introduce un sistema di incentivi e disincentivi per combattere l’abbandono scolastico, tipo non concedere la patente del motorino o togliere il sussidio di disoccupazione o l’ammortizzatore sociale ai genitori dei ragazzi che non vanno a scuola. Sono molto lontano da queste deterrenze giacobine che servono solo a confermare il tradizionale principio statalista secondo il quale devono essere i ragazzi e le famiglie ad adattarsi alla scuola invece del contrario.

Detto questo, però, per non aumentare la schiera dei chierici traditori,  dico senza reticenza che le apprezzo se e solo se fossero provvedimenti adottati mentre si introducono con teutonica coerenza e con cartesiana trasparenza tre interventi strategici che reputo indispensabili. E precisamente:

1) la restituzione dei percorsi di istruzione e formazione alla dinamica della sussidiarietà sociale (autonomia e parità piene delle istituzioni scolastiche, anche nel reclutamento di docenti e dirigenti abilitati dallo Stato; eliminazione del valore legale del titolo di studio; valorizzazione delle competenze  costituzionali degli enti locali; certificazione delle competenze affidata alle parti sociali che le esercitano quotidianamente, nel mercato mondiale);

2) la pari dignità educativa e culturale e la pari durata (tutti col diploma a 18 anni!) dei percorsi formativi fino al livello superiore, senza più le gerarchizzazioni esistenti tra teoria e pratica, cultura generale e professionale, istruzione e formazione, studio e lavoro, scuola e società, scuole e impresa, scuola e apprendistato ecc.;

3) la trasformazione dell’attuale, elefantiaca e centralizzata burocrazia statale in una burocrazia snella e competente, capace, non nelle parole di chilometrici documenti ministeriali, ma nella severità e nell’eloquenza dei fatti, di governare e di controllare i risultati dei processi formativi, senza volerli gestire e far gestire a modo proprio, magari con la copertura del potere sindacale e di qualche eforo più o meno sapiente.

* Università di Bergamo

 

Giacomo Zagardo: in Finlandia 570 ore extracurricolari facoltative

Ritengo molto giuste le considerazioni di Giuseppe Bertagna sull’irrecuperabilità strutturale della scuola e quelle espresse in altra sede da Giovanni Cominelli sul “collasso silenzioso del sistema”, cedevole nelle sue fondamenta perché ha come base il modello ottocentesco di un enorme “apparato statale per costruire la Nazione”.

Riflessioni, queste, che si applicano bene anche al tentativo di scolasticizzare l’extrascuola (Primo punto del dossier: ottimizzare l’utilizzo delle strutture scolastiche). L’ideologia della onnipresenza assoluta dello Stato in materia educativa, messa da tempo in discussione nei paesi del nord Europa, si spinge da noi a far utilizzare spazi e professionalità scolastiche persino “al di fuori dei percorsi formali di istruzione”.

Dal momento che ho già scritto sulla necessità di allargare il concetto di ‘public education’ anche nel nostro Paese, consentendo alla società civile di fare scuola e formazione alla pari in un frame statale (http://sbnlo2.cilea.it/bw5ne2/opac.aspx?WEB=ISFL&IDS=17572 e

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/dg-ifts/area-iefp), ritengo pernicioso estendere le derive stataliste anche oltre un territorio che già presenta molti punti di criticità (basti pensare che

quando un sistema scolastico non è veicolo di mobilità sociale ha già fallito il suo compito). Pertanto, tenendo in considerazione il peso crescente che, in molti Paesi, assumono elementi ‘al contorno’ delle attività tradizionali della scuola a cominciare dai servizi di supporto extrascolastici, vorrei aggiungere che questi non dovrebbero essere intesi come una necessaria appendice dello Stato, né, tantomeno, ricavarsi con i fondi pubblici una nicchia protetta dalla concorrenza.

La Finlandia può essere uno dei tanti esempi virtuosi: qui le Autorità municipali promuovono e finanziano 570 ore ad allievo all’anno di attività extracurricolari facoltative (Before – and After –School Activities), semigratuite perché può essere richiesto un piccolo contributo. Sono realizzate da provider di servizi privati o, comunque, non legati alla scuola.

Chi le pianifica coopera con le famiglie dei ragazzi interessati per assicurare un’offerta adeguata nell’ambito degli obiettivi generali assunti a livello nazionale. La particolarità, infatti, è che i contenuti centrali dell’extrascuola sono stabiliti dallo stesso Board che mette a punto i curricola per la scuola, mentre gli esiti sono monitorati dalle Autorità municipali. Le diverse attività forniscono un supporto al lavoro educativo della famiglia, prevengono l’esclusione e mirano a promuovere l’espressività, il benessere e la crescita personale (Emotional and Ethical Growth).

I tutor devono avere dal 2009 una laurea o un Master’s degree e attitudini ad agire come istruttori di gruppo. Quest’offerta libera e sovvenzionata, non legata alla scuola, diventa complementare a quella delle istituzioni scolastiche o delle Autorità municipali (che, in alcuni casi, forniscono attrezzature e personale).

* Ricercatore Isfol

 

Giorgio Allulli: sei proposte fattibili, ecco perchè

Ancora una volta Tuttoscuola fornisce un importante servizio alla scuola italiana, offrendo alla discussione sei proposte concrete, fattibili, che vanno al cuore dei problemi e delle carenze del nostro sistema scolastico e riaccendono un dibattito messo un po’ in sordina dalle difficoltà economiche e strutturali che negli ultimi tempi sono diventate la questione prioritaria da affrontare.

La prima proposta prevede di ottimizzare l’utilizzo delle strutture scolastiche, estendendo l’orario di apertura per offrire maggiori servizi agli studenti ed alla comunità: è una proposta assolutamente condivisibile, perché la scuola è una risorsa culturale fondamentale per la comunità, e costituisce uno spreco gravissimo concentrarne le attività e le potenzialità solamente sull’offerta didattica curricolare per gli studenti. La scuola, come accade in altri Paesi, dovrebbe diventare il cuore pulsante della Comunità, il luogo dove si organizzano, a cura della scuola stessa o di altri organismi, pubblici e privati le più svariate attività culturali; anzi la scuola, come centro di aggregazione, potrebbe vivificare molte comunità, sia urbane che rurali, oggi un po’ spente. Tuttoscuola propone un elenco di attività aggiuntive che la scuola potrebbe organizzare, ricordando giustamente l’importanza dell’educazione permanente; non va dimenticato però che oltre al rapporto tra scuola, territorio e comunità civile va rafforzato il rapporto tra scuola territorio e comunità produttiva. Il recente Decreto del MIUR, che definisce le Linee guida riguardo all’istituzione dei Poli tecnico professionali, è un buon contributo in questa direzione, ma va sostenuto; in un sistema fondato su una molteplicità di imprese e di scuole di medio-piccole dimensioni, la presenza sul territorio di una forma organizzativa (il Polo) che raccordi tra di loro le diverse tipologie di offerta formativa (Istituti tecnici, Professionali, Centri di Formazione) che operano per lo stesso ambito produttivo,  e si proponga come punto di riferimento per la formazione iniziale e continua e per l’orientamento, appare determinante per rafforzare l’intreccio della scuola con il mondo del lavoro, favorendo la qualità della formazione, l’occupabilità di giovani ed adulti e la competitività dello stesso sistema produttivo. Oltre alla normale attività formativa il Polo potrebbe realizzare un’attività di supporto tecnico (consulenza ed assistenza) ed in alcuni casi di ricerca applicata e trasferimento tecnologico per le imprese del territorio che operano all’interno dello stesso settore, specialmente per le piccole e piccolissime imprese che hanno difficoltà ad introdurre l’innovazione in modo autonomo[1].

Il secondo punto riguarda la lotta all’abbandono scolastico; anche in questo caso il problema è centrale, e le proposte di Tuttoscuola sono ampiamente condivisibili; a queste va aggiunto che spesso l’abbandono nasce dal disinteresse verso un insegnamento considerato troppo teorico; di qui l’importanza di incentivare una didattica che si poggi fortemente sulla pratica, che utilizzi metodologie induttive piuttosto che deduttive e di valorizzare l’istruzione e la formazione professionale, oggi ingiustamente considerate scuole di serie B. Da non dimenticare anche la questione della rotazione dei docenti, elevatissima proprio nelle aree più a rischio, che maggiormente necessiterebbero di continuità didattica.

La terza proposta affronta un problema annoso, che tante polemiche e proposte ha suscitato e continua a suscitare in Italia: come riconoscere il merito dei docenti e premiare chi si impegna di più per la scuola? Sostanzialmente Tuttoscuola propone di definire degli indicatori oggettivi sui quali si innestano valutazioni qualitative, effettuate  a livello di Istituto; mi permetto di provare ad aggiungere qualche dettaglio operativo, ripreso da una analoga proposta presentata all’allora Ministro Lombardi in tempi ormai lontani: gli indicatori oggettivi dovrebbero essere utilizzati come base minima necessaria per accedere alla valutazione qualitativa, ma non dovrebbero costituire elemento sufficiente per l’avanzamento di carriera: occorre infatti evitare il rischio di premiare i docenti solo per  la loro attività extraclasse. Il riconoscimento del merito deve considerare il lavoro che si fa in classe, e pertanto è necessaria una valutazione qualitativa: questa, più che dal Consiglio di Istituto, potrebbe essere fatta essere fatta dal dirigente scolastico e dal responsabile del dipartimento nel quale opera il docente sottoposto a valutazione; è da considerare l’opportunità di coinvolgere nella valutazione un genitore, che potrebbe raccogliere l’opinione degli altri genitori della classe o delle classi nelle quali opera l’insegnante. Comunque si tratta di un’operazione da compiere con molta attenzione, evitando di ripetere gli errori compiuti in altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove l’idea di premiare i docenti e le scuole sulla base dei risultati dei test ha prodotto effetti prevalentemente negativi.

La carenza di Ispettori (quarta proposta) costituisce un problema ingiustamente sottovalutato in Italia: negli altri Paesi, come Francia ed Inghilterra, gli ispettori rappresentano la spina dorsale del sistema scolastico, e non solo per loro funzioni di controllo, ma anche e soprattutto per le loro funzioni di supporto al sistema e di assistenza tecnica alle scuole, più che mai necessaria in regime di autonomia. L’ultimo concorso ispettivo espletato, oltre ai limiti quantitativi ricordati da Tuttoscuola, ha presentato anche rilevanti limiti qualitativi, consistenti nel fatto che si basava su un profilo molto tradizionale di ispettore, rivolto a funzioni di controllo formale più che a funzioni di supporto didattico, e di valutazione finalizzata al sostegno delle scuole.

Le piccole scuole (quinta proposta) rappresentano un fattore di costo non trascurabile, e la proposta di Tuttoscuola (responsabilizzare anche finanziariamente le Regioni e gli enti locali, analogamente a quanto si fa per altri servizi pubblici) è ampiamente condivisibile. Va segnalato però che in molti piccoli centri la scuola costituisce un importante presidio e fattore di identità della comunità locale, per cui la sua abolizione favorirebbe il processo di desertificazione di queste località; una possibile soluzione sarebbe quella di rimpiazzare il piccolo plesso con un presidio culturale (biblioteca, centro di educazione permanente) meno costoso ma nondimeno significativo per non lasciare completamente scoperta di offerte culturali la comunità locale.

Infine la digitalizzazione della scuola: su questo punto credo che vada approfondita la riflessione: quale deve essere il ruolo della scuola rispetto alle tecnologie digitali? Quali tecnologie digitali sono effettivamente utili per la didattica, anche in termini di costi/benefici? Quale deve essere il compito del docente rispetto a queste tecnologie? Andrebbero dunque sviluppate metodologie didattiche basate (anche) sulle nuove tecnologie, e la conseguente formazione dei docenti. Ritengo inoltre che vada assolutamente evitato il rischio di fornire alle scuole tecnologie che poi vengono scarsamente utilizzate (come è il caso di molte lavagne digitali) e che sono destinate a diventare obsolete nel giro di poco tempo; in tempi di abbondanza nulla quaestio, ma in tempi di risorse scarse la priorità credo che vada cercata altrove. 

* Esperto di politiche educative

Norberto Bottani: ma tra trent’anni questa scuola non ci sarà più

Norberto Bottani, uno dei più noti e autorevoli esperti europei di politiche educative, ci ha inviato un’ampia, dettagliata lettura critica del nostro dossier, accompagnata  da osservazioni e previsioni sul futuro dei sistemi educativi che vanno ben al di là della problematica da noi affrontata, che fa riferimento alla realtà e alle prospettive della sola scuola italiana.

Gli siamo grati, al di là delle critiche, perché certe sue osservazioni sono davvero illuminanti e anche perché ha letto le nostre sei proposte come se noi avessimo avuto l’ambizione di elaborare una vera e propria strategia di lungo periodo: quasi fossimo l’Ocse o comunque un grande istituto di ricerca.

In realtà con il nostro lavoro ci siamo proposti un obiettivo assai più modesto, quello di alimentare il dibattito su alcune idee che comunque scuoterebbero l’inerzia che attualmente caratterizza la scuola italiana. Sarebbe sempre un miglioramento rispetto alla situazione attuale.

E’ questo il nostro principale obiettivo, e non quello di offrire le basi teoriche e progettuali sulle quali fondare le scelte per i prossimi 30 anni: cosa che (purtroppo) non fa lo Stato, non fanno i grandi centri studi internazionali e nazionali, e non è certo in grado di fare una rivista come la nostra, né è il suo ruolo.

Ciò premesso, siamo lieti di offrire ai nostri lettori un testo, come quello di Bottani, di grande respiro internazionale, che muovendo dall’analisi delle nostre proposte chiede di pensare in grande e a lungo termine, di re-inventare la scuola in funzione dei fabbisogni educativi delle nuove generazioni.

Servirebbero, già da ora, edifici e aule che favoriscano l’e-learning, l’apprendimento cooperativo, la diversificazione dei tempi e dei modi dell’apprendere, la disponibilità a tempo pieno delle strutture (come propone Tuttoscuola), una vera pari dignità dei percorsi professionali, anche per eliminare alla radice la principale causa della dispersione; e poi – anche qui rafforzando proposte di Tuttoscuola – la formazione continua e obbligatoria di tutti gli insegnanti, un sistema di valutazione totalmente indipendente dall’autorità politica (come non è l’Invalsi), una seria iniziativa per la generalizzazione della scuola digitale, ma supportata “da indagini scientifiche rigorose per raccogliere elementi che permettono di comparare tra loro le varie soluzioni”.

Il testo integrale dell’intervento di Bottani può essere consultato cliccando qui.

 

Fiorella Farinelli: scuole sempre aperte e doppio regime orario per gli insegnanti

Le sei piste di Tuttoscuola sono tutte importanti, e appropriate a una discussione connotata,  come sempre si dovrebbe, dall’intreccio tra strategie e fattibilità. Chi opera per il miglioramento del sistema educativo deve dunque apprezzare l’iniziativa, anche per l’offerta di intervenire nel merito. La dichiarata parzialità dell’approccio – ma la parzialità, oggi, è una virtù necessaria – non dovrebbe però scoraggiare dall’esplicitare il grappolo di  questioni  connesse all’uno o all’altro dei punti in discussione: non perché ci sia  al momento una praticabilità effettiva di strategie di lungo respiro ma per chiarire profilo e  direzione di marcia delle proposte.

E’ il caso, per esempio, della pista  “Digitalizzazione delle scuole ”, in cui non si possono mettere in ombra gli interrogativi e le possibili risposte  sui  cambiamenti organizzativi, didattici, professionali richiesti da una scuola 2.0, e tanto meno  l’analisi degli errori, e del non ottimale uso delle risorse, di parecchie delle azioni già intraprese. Anche a proposito della “Lotta senza quartiere agli abbandoni scolastici”, sarebbe utile allargare e approfondire. Se infatti è corretto dare il giusto rilievo allo sviluppo delle  attività di recupero e di riallineamento, bisogna anche evidenziare le azioni  e le specifiche competenze   necessarie a contrastare la nuova emergenza – l’insuccesso, le ripetenze, i ritardi, gli abbandoni, e perfino la “segregazione formativa” – che riguarda quella parte non proprio trascurabile, e anzi in evidente crescita, della scolarità rappresentata dai figli dell’immigrazione.

Non solo. Anche se ci sono oggi buone ragioni per non considerare facilmente fattibili  modifiche ordinamentali o investimenti finanziari importanti, permette di evitare ogni banalizzazione del fenomeno e della sua indispensabile riduzione  il richiamo all’esigenza di dare finalmente una consistenza  in tutte le aree territoriali alla filiera dell’IeF anche oltre i percorsi triennali, di sviluppare l’alternanza scuola lavoro e l’apprendistato formativo, di migliorare le capacità della scuola di misurarsi con la logica della “seconda opportunità”, di rafforzare la motivazione e la responsabilizzazione degli studenti attraverso l’opzionalità di parte dei curricoli dei trienni  della secondaria superiore, anche in funzione dell’auspicabile orientatività verso l’istruzione terziaria o verso il lavoro dell’ultima classe. Fermo restando che è prima di tutto in aula, quindi attraverso una didattica in grado di interagire con l’ar